domenica 2 maggio 2010

Lettera


Caro fantomatico amore,volevo dirti che io sono qui.
Apri gli occhi, spalancali un po’ di più questi stupidi occhi.
Mi ritrovo davanti ad una bottiglia di vino bianco, a casa, in giardino, da sola, a riflettere su questo mondo che mi circonda, che ci circonda.
Volevo invitarti a sprecarla un po’ meno questa vita, a ragionare un po’ meno sulle cose, a lasciarti andare un po’ di più. Io mi prenderò una pausa da me stessa in questi giorni di inizio settembre, vedrò di essere più calma, più cauta; vedrò di agire meno, ecco. Ma tu guardami cazzo! Voltati e guardami!
La mia amica mi ha detto che c’è appena stato il terremoto. Qualcosa si muove.
Adesso le luci delle case crepano insieme alle luci delle mie pupille. Tra un po’ questi occhi mi si spegneranno, ed è colpa tua che mi dici che ho un seno bellissimo e poi non fai nulla per toccarlo di nuovo, non fai nulla per rivederlo e sentirne l’odore.
Mi guardi per un attimo, dalla cima della scala, mi fissi per bene, e mi piace; ti ingoio con i miei di occhi, cerco di fottertelo questo cuore mangiato che ti rimane, ma non succede niente, dopo dieci minuti sei fuori da casa mia e non ci pensi più a me, non ti interessa più, rapito come sei dagli impegni. Ne ho conosciuti tanti come te, sai? Ne ho visti tanti. Dicono di essere stronzi, come hai detto tu. Tu, che non ti fidi della gente. Tu che mi fai paura. Tu che hai sofferto tanto, dici. Anch’io sai? Ho visto cose tristi. Mi hanno vista mentre distruggevo tavoli, mentre gettavo sedie per aria; mi hanno vista urlare, piangere di rabbia, morire. E non mi sono arresa, sai? E non ho nemmeno detto basta. Ho salutato con gentilezza i perdenti che mi avevano fatto male, mi sono alzata di nuovo in piedi e ho preso la vita a morsi, l’ho ingoiata. Ed ora eccomi qui; mai digerita questa vita.

Nessuno scudo, ad ogni modo, non serve. O forse serve, ma solo a vivere a metà.
Te le dico con gli occhi le cose, e non capisci. Te le scrivo le cose, e non capisci. Ti faccio vedere Colazione da Tiffany, la parte più significativa di quello stupido film; tu la guardi e sorridi. Tutto quello che sai dirmi è “hai ragione”. Certo che ho ragione!
Tu non vuoi costruire niente nella tua vita. Io ti parlo di cose meravigliose. Io mi infervoro quando ti parlo di Bauman o di Pasolini. Io mi commuovo quando leggo Bilal di Fabrizio Gatti, mi commuovo anche quando guardo Notorious. Io certe cose me le sento dentro, me le vivo per intero, le assorbo goccia per goccia. Tu, niente, non guardi, non ascolti, non vuoi, hai paura, e ne hai troppa.
Io questo terremoto non lo sento e tutti me lo chiedono e me lo richiedono. Non l’ho sentito il terremoto! Dov’è questo terremoto?

Sei ingiusto. E non lo so perché mi fotografavi di prima mattina prima di andare a lavoro, non lo so perché mi hai detto di guardarti di nuovo in quel modo; e non so nemmeno perché il caffè l’hai fatto tu ieri mattina. Eri mio ospite, dovevo farlo io quel caffè! Nessuna illusione tesoro, non ne voglio più di illusioni. Mi hai parlato della tua vita, mi hai stancato con i tuoi discorsi da tossico.
Però hai fatto una cosa meravigliosa, mio fantomatico amore. Mi hai fatto fare il più bel giro in bici della mia vita, in piedi sul portapacchi, di notte, hai guidato senza mani, senza freni, mi hai fatto ridere, mi hai fatto bene. Per questo ti ringrazio. Ora, per favore, lasciami stare, dimmi che non sono all’altezza, dimmi che non vuoi nessun impegno, dimmi che non mi amerai mai, dimmi che l’amore dei film di Hitchcock non esiste, dimmi che è una gran cazzata, dimmi che si vive solo di lavoro, sesso e cibo. Io ti crederò, ti crederò immediatamente, ti bacerò e ti lascerò andare.

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