giovedì 3 settembre 2015

Prova lo xanax, dico io

Ho aspettato tre ore alla stazione prima di prendere il treno, pensavo ce ne fosse uno ogni ora e invece i treni per Cefalù d’estate vengono dimezzati. Non c’è nulla di male, a noi i turisti stanno sul cazzo. Sbuffano, si lamentano, guardano inorriditi il tabellone con gli orari e poi se ne vanno, e chissà dove vanno. Io so che il viaggio varrà l’attesa, perché il treno per Cefalù ad un certo punto diventa una barca. Il mare è lì, dietro il finestrino, basta tirarlo giù e fare un tuffo, lì dopo Trabia il treno diventa barca e quello è il premio per l’attesa, ma loro non possono saperlo. 

Sono stata a casa di un mio amico che vive in paese con i genitori, mi hanno ospitato per tre giorni nonostante in casa non ci fosse acqua. Hai capito come si ragiona qui? 
Grazia mi chiede un parere sul vestito del battesimo, sulla collana e gli orecchini, le scarpe e la borsa. Mi ha anche chiesto se il trucco color tortora secondo me potesse andar bene. Grazia sa come farti sentire importante. Mi ha preparato la colazione e mi ha impedito di fare il caffè, mi ha impedito di sparecchiare o lavare i piatti. Mi ha accompagnato alla stazione e mi ha raccontato che vorrebbe che suo figlio rimanesse in Italia, lo spera davvero e mi chiede di darle una mano a convincerlo. ‘Ci proverò’, le dico. 
Qui c’è il mare, il mare che osserva tutti i tuoi gesti, che ti tiene fermo. E Grazia ed Enzo non fanno altro che dirmi ‘hai visto che bel panorama che si vede da qui?’, e che bella temperatura, e il vento leggero e il profumo dei calzoni appena sfornati o delle melanzane fritte di prima mattina, il piacere di scambiare due parole, di parlare in modo spontaneo, in canottiera, con gli occhi ancora chiusi dal sonno.
Mia madre stamattina piangeva, e io non sapevo cosa dirle, non sapevo cosa fare, noi siamo qui nello stesso posto, nello stesso limbo tra il mare e il sole ed è lì che io vivo, vivo in Sicilia, abito solo in un posto diverso. Ma questo non so come spiegarglielo. Non so come spiegarle che per adesso deve accontentarsi di cullare i bambini di mia cugina e che la nostra società è un enorme rogo di passeggini, in pochi possono permettersi di avere figli adesso, e la natura, la natura dice che i figli si fanno dai 20 ai 30 anni e quindi ciao.

La voce della vicina la sentiamo bene da qui perché i muri sono sottili. Dice a sua figlia di stare tranquilla, che a Milano alla fine si sta bene, che qui non avrebbe saputo cosa fare, gli attacchi di panico prima o poi saranno solo un brutto ricordo, non c’è nulla di cui preoccuparsi, davvero. C’è sempre lo xanax, dico io.

Ti ricordi quando eravamo alla Sapienza e mi dicevi di non guardare mai la Minerva negli occhi? Dicevi che portava male e non mi sarei mai laureata, ti ricordi? Ci siamo passate sotto centinaia di volte eppure non abbiamo mai guardato il volto di quella statua. 
Siamo state a Palermo per tanti anni e non l’abbiamo mai guardata davvero, non ci siamo mai accorte, se non dopo anni, che la nostra città era ferma al Dopoguerra, che camminare tra le rovine della Vucciria non era una cosa poi tanto normale. I palazzi crollavano, piazza Garraffaello era una discoteca a cielo aperto e i residenti si lamentavano, la mozzarella a Ballarò era verde e il paninaro si soffiava il naso prima di tagliare a metà il panino, le blatte volanti ci si posavano addosso e il parcheggio non si trovava manco per il cazzo. Quant’era bella Palermo? Puzzava da fare schifo, al foro italico c’erano le puttane e le giostre, il mare era solo una lingua di spiaggia a Mondello, il mare non lo vedevamo mai, solo gli stronzi con i villini all’Addaura potevano farsi un bel bagno, indisturbati, soli. 
Perché ci manca così tanto? Non è cambiato nulla negli anni, quando si tornava a casa alle quattro di mattina sbronzi, a piedi nudi, come faceva Remi, e non ti poteva accadere nulla. 
Tra la nostra e tutte le altre città c’è uno scarto enorme, un abisso culturale immenso e quell’ambiente familiare, socialmente inaccettabile, non lo ritroviamo e non lo ritroveremo mai in nessun altro posto. 

Lo sai quanta vita ho grazie alla mia città? Lo sai quanta energia ho? Ma non riesco a convivere con quel senso civico che serve qui a Torino, avrei bisogno di un po’ di macerie, di un po’ di anarchia, di un po’ di sud.


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