Si leggeva insieme l'articolo pubblicato su 'Internazionale', un articolo di Stephan Faris, pubblicato sul 'Time', settimanale americano di attualità.
Si leggeva l'articolo che in italiano era intitolato Arrivederci Italia.
E il lead era questo:
“Non è esattamente il genere di consiglio che ci si aspetterebbe dal direttore di un'università d'élite. Nel novembre del 2009 Pier Luigi Celli, direttore dell'università Luiss di Roma, ha scritto una lettera aperta al figlio: 'Questo paese, il tuo paese non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio (...) Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati.
L'articolo su 'Repubblica' continuava così:
'Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.
Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché'.
Siamo tre in cucina. Abbiamo appena finito di cenare, fuori c'è freddo, il cortile interno fa paura, le luci sono tutte spente e io sono in fase premestruale.
Lui è stanco e sbadiglia ogni due minuti.
Lei sorride, ma è stanca pure lei. Leggiamo insieme e le nostre risate di un attimo prima sono zittite da questo Celli (che poi lui i soldi ce li avrebbe e dovrebbe essere l'ultimo a parlare).
Finisco di leggere l'articolo e cala il silenzio. Siamo tutti e tre un po' più tristi.
Il cortile diventa ancora più buio e freddo. Da qualche giorno ho come l'impressione che il mio palazzo sia disabitato. Nemmeno i vicini si affacciano più.
Lei non voleva lasciare nemmeno Lecce per venire a Roma, a dire il vero. Ogni tanto la vedi che visita il sito del suo quotidiano pugliese e legge, legge e poi si commuove quando muore Uccio Aloisi, cantore storico della Pizzica. Studia scienze politiche. Le piace quello che fa.
Ogni tanto invece la vedi incredula, mentre legge quello che succede nel mondo o in Italia ed è ingenua quando alza la voce e con gli occhi esprime il suo dissenso. Sterile dissenso.
Lui dice che dovrebbe andarsene da qui. Lavora dieci/dodici ore al giorno come stagista in uno studio di architettura senza percepire né uno stipendio né un rimborso spese. Ha un senso del dovere spiccatissimo, è in gamba, curioso, capace e ha tutte le carte per realizzare il suo obiettivo. Ma da un'altra parte. Non qui.
Il silenzio dopo un po' lascia spazio a sguardi perplessi e interrogativi. Meglio non pensarci troppo.
'Quanto spendi mensilmente qui a Roma?'
'In tutto credo 750 euro, compreso l'affitto'
'Credo sia tanto'
'Sì, è tanto. Ma lo sai che pago 15 euro a notte in quella casa? Mi costerebbe molto meno un ostello. E non ci sono spese da pagare in ostello'
'Che cosa assurda'
'E non compro vestiti da almeno tre anni, con le scarpe vecchie dove entra l'acqua, e le magliette bucate'
'Ma se perfino il mio professore veniva a lezione con i maglioni bucati! Che ci vuoi fare, non ti lamentare. Per ora c'è la crisi'
E poi:
'Che farai dopo lo stage?'
'Mi piacerebbe andare a vivere a Berlino, lavorare lì. Non lo so. Mando curricula ovunque. Vado dappertutto. Fuori dall'Italia, comunque. E tu?'
'Non lo so. Proprio non lo so'
Dopo un po' non ci pensiamo più. Abbiamo voglia di dolci. Allora lei fa la crema gialla e io un pan d'arancia. Metto in forno l'impasto e non lievita nemmeno. Viene fuori una torta brutta da vedere e da mangiare. Ma almeno i malumori e le paure li abbiamo depositati da qualche parte. In una torta avvelenata, che è ancora tutta intera.
Io sono una provinciale. I miei amici sono tutti di paese e, senza la pretesa di generalizzare, la gente delle grandi città non mi piace.
La cosa che mi manca di più da quando mi sono trasferita a Roma è la luce del soggiorno di mia nonna la mattina e il suo viso dolce che mi sorride suggerendomi che sarà un buon giorno. Mi manca quella casa vicino la stazione di Palermo che diventava un carcere quando ne avevo bisogno; la domenica mattina a casa, con i miei genitori che tornano dalla passeggiata, con il pane caldo sotto braccio e un vasetto di ricci di mare comprati al Borgo vecchio; la domenica dopo pranzo, con la tv che si ascolta da sola e la serenità nei volti di mia madre, mio padre e mio fratello. Mi manca poggiare i piedi sul termosifone nelle serate invernali, io e mia madre su una poltrona troppo stretta per contenerci entrambe; l'odore dei cibi cucinati da mia nonna, piazza magione e la strada del Capo.
Io sono una provinciale e ho paura di andare a vivere all'estero. Voglio pensare che le cose andranno diversamente, che tutto si sistemerà e che sarà più facile trovare lavoro, voglio credere che la mia laurea servirà a qualcosa e che tra qualche tempo al governo non ci sarà più un coglione che va a puttane e spiana la strada a veline e showgirl, umilia giornalmente i cittadini, fa le leggi per se stesso, possiede tutte le reti della tv generalista case editrici squadre di calcio banche e chi più ne ha più ne metta, che spende i suoi soldi in festini e troie, che offende la gente che lavora onestamente.
Io voglio restare.