Leggendo l’ultimo libro di Maura Gancitano, ‘Erotica dei sentimenti’, ho trovato molto intressante la riflessione relativa agli algoritmi che esula di certo dal discorso dell’autrice sull’educazione sentimentale ma mi sembra molto attuale e importante da approfondire. Perché Internet, che ci aveva dato la possibilità di esplorare il mondo dalla nostra stanza, si rivela così potente e infinitamente vasto da non riuscire a reggere il suo stesso peso tanto da creare solo influencer, corpi ostaggio dell’industria del bello, dell’estetica e del fitness?
Se pensiamo che il Word Wide Web nasce nel 1991 e nel 1994 nascono i coockies ci accorgiamo subito che in soli tre anni siamo passati dalla libertà di poter scegliere quali siti visitare all’impossibilità di cliccare su una pagina web senza essere classificati, schedati, monitorati o spiati. Il problema dell’algoritmo però ha ancora meno a che fare con la libertà negata di quel diritto alla privacy che ormai è un fatto assodato.
Un giornalista del New York Times, nel 2013, parla per la prima volta di ‘Dataismo’ per definire il regime dell’informazione dei Big Data. Elaborare i dati per sorvegliare, prevedere, orientare i comportamenti della popolazione per alcuni rappresenta una rivoluzione senza precedenti che permette di classificare comportamenti e tendenze e semplificare la risoluzione di problemi di qualsiasi natura, per altri costituisce invece un enorme pericolo. Il problema dell’algoritmo è piuttosto legato all’esposizione a contenuti che confermano la nostra visione del mondo, creando una cerchia di utenti e contenuti affini a chi li cerca. Maura Gancitano parla di un meccanismo che alimenta il bias di conferma, cioè quella distorsione cognitiva che spinge gli individui ad interpretare le informazioni come conferma di ciò che pensavamo già da prima, ignorando tutto ciò che le contraddice o le smentisce.
L’algoritmo è dunque una manipolazione informatica che non ci permette di entrare in contatto con punti di vista ‘altri’ che avrebbero il compito di indurci al pensiero critico. Per sintetizzare, gli algoritmi annullano il pensiero critico.
Trovo molto interessante il meccanismo di manipolazione informatica perché Internet oggi costruisce una parte di identità delle persone che è estremamente rilevante nella vita quotidiana. Quello che Byung Chul Han chiama il ‘regime dell’informazione’ non è altro che il dominio di algoritmi e Intelligenza artificiale per determinare processi sociali , economici e politici. La tecnica informatica digitale quindi trasforma la comunicazione in sorveglianza. Eli Pariser, autore americano contemporaneo, parla di una ‘bolla di filtri’ che si riempie di informazioni di mio gradimento, rafforzando le mie convinzioni di un determinato fatto. Ciò farebbe in modo che il nostro mondo esperienziale e la nostra conoscenza, nonché verità, diventino sempre più limitati e parziali.
La personalizzazione riprodotta dagli algoritmi si riduce ad un’esclusione di punti di vita alternativi che sono fondamentali per il concetto di democrazia. Quello che Chimamanda Ngozi Adichie (scrittrice nigeriana contemporanea) chiama il “pericolo di un’unica storia”, non è altro che il racconto di una sola prospettiva dei fatti, di un unico punto di vista che esclude la complessità creando stereotipi.
Cosa possiamo contrapporre dunque alla dittatura degli algoritmi? Quale medium è sempre stato alla base di ogni democrazia e restituisce al soggetto passivo una condizione di attività intellettuale fatta di confronto e narrazione? Quale strumento ci permette di godere di molteplici prospettive?
Il libro, suggerisce la Gancitano.
La narrazione, secondo Byung Chul Han.
Il discorso, secondo Habermas.
Ovvero tutti parlano di molteplicità di punti di vista come reale rimedio alla dittatura della società dell’informazione. Habermas sostiene che è al pubblico di lettori ragionanti che dobbiamo la sfera del discorso pubblico. Cosa intendiamo per ‘discorso’? Il discorso, dal latino discursus, è il girovagare, l’andare in giro, il correre qua e là. Ciò significa che solo la ricerca e l’incontro con l’altro conferiscono alla mia opinione una qualità discorsiva. E qui entra in gioco anche il concetto di narrazione. Le narrazioni creano significato e identità, permettono il dialogo e lo scambio. Il libro, con i suoi personaggi e le sue storie diversissime, rimane il luogo dei paesaggi emotivi complessi, articolati e irripetibili.
Favorire la creazione di un’identità
attraverso i libri è solo un modo un po’ ingenuo per suggerire che abbiamo
bisogno degli altri per creare la nostra identità, quegli altri che non
incontriamo più all’interno della nostra bolla algoritmica perché da questa
sono esclusi. Per favorire una complessità di visioni dobbiamo uscire dalla ‘prigione
digitale trasparente’, come la chiama Byung Chul Han, dal totalitarismo
algoritmico senza ideologia che è alla base del regime dell’informazione. Solo
allora potremo sperare di sfuggire all’atomizzazione digitale che ci rende
isolati e autoreferenziali e riprendere un confronto che conduca ad un pensiero
critico.