martedì 25 settembre 2012

È STATO IL FIGLIO

Stasera ho visto un film che mi ha sconvolta. Si chiama ʻÈ stato il figlioʼ ed è la storia di una famiglia del quartiere Zen di Palermo. Daniele Ciprì descrive un luogo che esiste realmente, un luogo dove la gente spara per regolare i conti, un luogo strano, dove vivono persone povere, talmente povere da diventare irreali. Strano che il film di Ciprì sia prodotto in un periodo del genere, un periodo in cui solo la classe borghese fa la rivoluzione, un periodo in cui i poveri stanno in silenzio e, apparentemente, non si accorgono di nulla. E non se ne accorgono perché per loro non è cambiato niente.
Si rimane spiazzati di fronte a questa 'pseudo tragedia greca', incapaci di credere come la fame conduca a fare certi gesti, un film toccante, senza dubbio, ma anche un poʼ fine a se stesso. Non serviva a rivalutare il quartiere Zen di Palermo, presentato in modo a dir poco squallido, anche se molto realistico, non serviva a dar voce alle classi meno abbienti. Serviva, forse, da monito.
Il progresso, il benessere apparente ci ha portati a dare più importanza agli oggetti di consumo che ai valori morali. Il prete che benedice la Mercedes e intasca la mazzetta subito dopo, lo zio Pino che ʻmpresta picciuliʼ a condizioni improbabili e la nonna che si rivela senza cuore, decidendo - seguendo la logica matriarcale della famiglia siciliana, con una razionalità invidiabile ma pietosa - di mandare in carcere un innocente, sono figure che servono a denunciare un grave problema sociale. Queste non sono figure nuove, esistono dai tempi in cui lʼuomo deve ʻfaticareʼ per vivere, sono personaggi di una città arcaica che ha bisogno di unʼalternativa plausibile.
Da quando una Mercedes è diventata più importante di una vita umana? Da quando una moto è più importante di un legame di sangue? Il consumismo coatto, dagli anni Cinquanta in poi, ha cambiato la nostra fisionomia. Il padre con una Mercedes può comprarsi il rispetto dei residenti della sua zona. Il ragazzo con una moto costosa e, oltre a comprarsi il rispetto di tutti, diventa crudele.
Forse ci basta davvero poco per essere felici, per stare tranquilli. Forse noi, che abbiamo sbagliato i tempi dellʼevoluzione, ancora possiamo ricordare cosa cʼera prima e se ci piaceva di più. Gli oggetti come status symbol sono un concetto che non ci appartiene. La nostra più grande risorsa, oggi, dovrebbe essere quella di accontentarci di quei beni necessari che rendono necessaria la vita.



martedì 18 settembre 2012

Palermo: l'eterno dilemma. Restare o andare via?

Quando hai chiuso il telefono abbiamo brindato. Ti aveva detto che eri assunto. Contratto a progetto per sei mesi per poche centinaia di euro. Che opportunità, abbiamo pensato. Torino è una città stupenda.

‘Ci sei mai stata?’

‘No, però lo dicono tutti’.
Un attimo dopo ti sei seduto, i gomiti sul tavolo e l’espressione triste. 
‘Che c’è?’ ti ho chiesto.
‘Non so se sono felice o no’.

Devi scegliere se partire per Torino, città giovane, dove è più semplice trovare un lavoro oppure rimanere a Palermo, chiedendo un aumento, almeno, che ti permetta di prendere in affitto una stanza tutta tua, solo tua, da gestirti come vuoi. Potrai lasciare le mutande sul tavolo, potrai arredarla come ti pare, mangiare la ciambella sotto le coperte, fare l’amore urlando, sporcare quanto vorrai. Se l’aumento te lo danno, allora ben venga. Lo sapremo domani. Anche se, come sai, questa è una città veramente difficile. Siamo noi che la rendiamo difficile. 
Tu sei fiducioso, dici che qualcosa presto cambierà, che i palermitani hanno voglia di cambiare e che adesso c’è Orlando e andrà tutto meglio. Poteva fare qualcosa, Orlando, per convincerti a restare. 
Orlando poteva fare qualcosa. Poteva far togliere dalle palle tutti i posteggiatori del cazzo che affollano le strade e che ti fanno tanto incazzare. Lo sai che ormai affollano anche i parcheggi degli ospedali? 
Poteva pedonalizzare il centro, proibire il parcheggio selvaggio, stanziare dei fondi per i giovani disoccupati come in tante città europee civili fanno già, poteva eliminare un po’ di spaccini qua e là, far arrestare chi andava arrestato. Invece lo sai che fa in questi giorni Orlando? Si occupa di quelli della Gesip. Mentre un gruppo di delinquenti tiene in pugno la città, lui ci guarda andar via senza far nulla. Io me ne fotto se questi signori, quasi tutti ex detenuti, non hanno avuto i soldi che gli spettavano. Lui, il sindaco, propone il prepensionamento per quasi tutti loro. Cioè non solo hai la fedina penale sporca ma ti regalo pure una pensione. Perché? Perché sono pericolosi. Fino a quando in questa città non ci saranno regole e fin quando avremo paura di ritorsioni da parte di gente poco onesta e scenderemo a patti con la delinquenza, non cambierà niente di niente.

Tu non sai se restare o andare.
Io odio l’idea di dover ripartire e fare di nuovo il giro delle aziende, il giro di telefonate, di e-mail, di buongiorno e buonasera, di colloqui e quant’altro. Non la voglio fare per sempre questa vita. Voglio una casa in affitto, uno stipendio che mi permetta di fare la spesa. 
Non voglio che tutti i laureati in lettere e giornalismo si ritrovino a fare gli artigiani alle feste dei comunisti. Ci sono persone veramente capaci in questo posto, che hanno studiato, persone che fino a poco tempo fa raccontavano storie meravigliose su questa città. Tantissima gente che vive fuori ha nostalgia di Palermo. Io, invece, se me ne vado, qui non ci voglio ritornare. Solo per le vacanze. 
Mi sono stancata dei raccontini melodrammatici sulla città fatiscente, il calore delle persone, l’immondizia scenografica, Ballarò, la Vucciria, Piazza Magione. Questi ormai sono solo i luoghi della criminalità, travestita da liberalizzazione  dell’alcol, della droga e chissà di che altro. 

Io qui non ho visto nulla che mi abbia convinto a restare.
Qui ci offendono, ci umiliano. Non gliene frega un cazzo a nessuno di me e te che vorremmo vivere di nuovo insieme, che nonostante tutto siamo rimasti insieme. Ci fanno litigare, ci istigano, ci provocano. Quanta gente ha lasciato perdere. 
Hai speso una fortuna per fare questo colloquio,  sei andato lì subito dopo aver ricevuto la chiamata, hai fatto due lunghissimi viaggi in nave e svariate ore in treno, non hai dormito, eri solo. Hai letto un libro, tutto d’un fiato. L’unica persona che ti ha rivolto la parola era un turista tedesco. Sei andato lì rischiando che ti dicessero: ‘grazie ma non è questa la figura professionale che stavamo cercando’. Eri stanco, esausto. Volevi solo distendere le gambe e invece hai fatto un colloquio e ti sei sforzato di sorridere, di essere socievole ed espansivo anche se sei un orso di natura, hai indossato la tua camicia migliore e hai mangiato da McDonald’s per non spendere tanti soldi. Io sono rimasta qui a fare il tifo per te ed è andata bene. Per poche centinaia di euro al mese. Capito? Ma bisogna pur iniziare. Sempre. 
Un tempo tutto questo aveva senso, iniziavi ‘una’ volta, facevi  la gavetta, la fame, poi dopo qualche anno si sistemava tutto e potevi accendere il mutuo. Adesso no, adesso si ricomincia sempre da zero, lavori per quattro ditte diverse in un anno, ti arrivano quattro CUD e per lo Stato sei ricco. Negli intervalli, i periodi di disoccupazione per intenderci, devi tornare da mamma e papà perché non puoi permetterti l’affitto, smonti casa e impacchetti tutto, spedisci con Poste Italiane i trenta scatoloni che contengono la tua vita, lasci i tuoi amici, dici addio ai tuoi sogni di gloria, addio al tagliere dell’Ikea 1mx1m, addio al mortaio di legno, al frullatore a immersione e tutti i tuoi libri di cucina, addio al tuo planisfero, a tutte le persone che ti riempivano le giornate. 
Ci vuole un po’ di tempo per riabituarsi a vivere con i propri genitori. Ci sono problemi di spazio, per esempio, di disordine che si crea in casa, di privacy. 
Poi, un giorno, dopo mesi passati a iscriversi a siti tipo cercolavoro.com e dopo aver mandato miliardi di e-mail col tuo curriculum perfino al negozio di scarpe di fronte casa (e non ti hanno nemmeno risposto ‘no grazie’), arriva una chiamata e si ricomincia. Ricominci e metti di nuovo tutto in discussione. 
Che opportunità, penserebbe chiunque. Ma io non credo sia una grande opportunità se lo fai tre-quattro volte l’anno. Ti sposti continuamente, fai traslochi, spedisci valigie, cerchi case, poi scade il contratto, strategicamente ‘a progetto’ in modo tale che non solo non hai alcun diritto, ma possono licenziarti quando, come e perché vogliono, e ritorni a casa da mamma che per la prima settimana ti cucinerà i tuoi piatti preferiti e ti rassicurerà ricordandoti ‘quanto vali’.
Domani sapremo se questo aumento te lo danno o no. Sapremo se rimarrai a Palermo o andrai a Torino. Sono le ultime ore di agonia, amore mio. 
Domani sapremo cosa fare.



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