giovedì 6 febbraio 2014

La Palermo che si autodistrugge

Avvinghiati ai calcinacci, alle pietre, alla spazzatura, veli di polvere ci separano dal mondo,  l’opacità delle cose, le strade unte, la fatiscenza che ci relega ai confini del mondo. 
Parlare di una città è sbagliato. Palermo non è una città, è un luogo che si è fermato al Dopoguerra e noi abbiamo scelto di preservarla nelle sue storture, nelle sue deficienze, nelle sue mancanze e malformazioni. 
Questa volta tutti sono sopravvissuti, le bottiglie riverse in piazza, i cani randagi nati dall’incuria, i furgoni-ristorante, le risse, tutto preservato come nel più magnanimo dei miracoli. Questa volta siamo salvi. 
Ma non è mica tra la spazzatura che vogliamo vivere, e questa fatiscenza che noi palermitani amiamo ci farà implodere tutti, le piazze del centro imploderanno stanche della loro stessa rovina, le strade si sgretoleranno e i turisti affonderanno mentre viaggiano in carrozza, continueremo a sputare per terra, a distruggere e apprezzare solo il mare i colori e il bel tempo.
Si può vivere meglio, credo, in qualsiasi altro luogo. Si può vivere fuori dalle macerie, si possono abitare luoghi più sicuri.
Perché queste rovine diventino edifici o ancor meglio opere d’arte, bisogna allontanare l’amore per il marcio, per la decadenza, questa passione per i detriti, per gli avanzi.
Noi non meritiamo avanzi, sia chiaro. 

La nostra città merita di essere ricostruita, di essere sicura, di essere salva.

Piazza Garraffaello, 5 febbraio 2014