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martedì 28 gennaio 2014

"chiuditi a riccio"

Il giornalismo dei tg vive da sempre un bel paradosso: rimanere indifferenti a tragedie immani. Ci siamo abituati tutti, infatti, alle tragedie.
Se li guardi, questi giornalisti della tv, sembrano indifferenti a tutto, sembra che i fatti di cui parlano siano legati geograficamente ad una galassia che non esiste. 
Questo è il primo motivo per cui odio i telegiornali. Ma cavolo, ogni tanto ti deve scappare un'espressione da quella faccia di bronzo, non so per sbaglio magari, ti si inarcano involontariamente le sopracciglia, un gesto di disappunto con l'angolo delle labbra, qualcosa, qualunque cosa che possa indicare che pure tu, giornalista di un altro mondo, sei un essere umano. E invece no, perché il giornalismo da noi è da sempre finzione.
Informazione piatta che al massimo verrà poi rielaborata dai telespettatori. O ruttata dagli spettatori, dipende dal livello di gastrite di ognuno. O bestemmiata, vedete voi.

Analizziamo le notizie di questi giorni.
Renzi ha incontrato Berlusconi al Nazareno: qualunque potesse essere il motivo, Berlusconi è pur sempre un imputato per frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, induzione alla prostituzione minorile eccetera eccetera. 
Riina minaccia Di Matteo dal carcere. Il capo dello Stato non dice nulla, non una sola parola su un morto che cammina. Facciamo finta di niente. 
Ieri ti hanno chiamato ‘boia’ caro Napolitano, e fino a lunedì prossimo non si parlerà che di questo. Non è corretto chiamarti 'boia', è vero, ma non siamo tanto distanti dalla realtà. Tu, presidente della Repubblica, dovresti tutelare i nostri ‘morti che camminano’, i nostri eroi e, dopo la morte di Falcone e Borsellino, non credo che gli italiani perdoneranno altri ‘morti annunciati’ di mafia. Riina invece se ne sta tranquillo e dialoga indisturbato con Lorusso, criminale pugliese, e gli spiega che deve succedere un manicomio. E tu nemmeno una parola hai detto, una parola di solidarietà ad un magistrato che fa il suo dovere. 
Ti aspettiamo, Riina. Sei a posto, perché non c’è nessuno che in questo paese protegga i magistrati e chiunque voglia collaborare per la giustizia. Lo abbiamo visto nella puntata del 20 gennaio di Presa Diretta , in cui si evince che i testimoni di giustizia sono trattati come lebbrosi e vengono isolati per bene, e possono morire da un momento all’altro perché lo Stato tanto è complice. E tutti ‘sti stronzi, Lea Garofalo per esempio o Piera Aiello o Giuseppe Carini, tutti questi, inseriti in un programma che si chiama paradossalmente ‘programma protezione’, sono in realtà da eliminare perché sono solo dei pesi per il governo e perché non gliene fotte niente a nessuno. 

Non c’è che dire, la De Girolamo si dimette, e a me che me ne fotte, non sono queste le notizie che mi interessano, dice che è stata privata della sua dignità e del suo onore per la storia dell’Asl di Benevento. E ‘sti cazzi? Ben le sta. Mi pare ci siano cose più importanti della sua dignità.
E il papa? Gli rubano l’ampolla di sangue? La reliquia? Pista satanica? Si parla di ‘furto su commissione’. Interessante.

La gente fa la fila alle Poste per pagare la mini IMU. 
'Ma come si paga? Ma come si calcola? Come facciamo a sapere...?' 
'Signora, se la deve calcolare da sola, su Internet ha capito?'
'Ma io Internet non ce l'ho. Allora non so signora, vada in un Caf'. 
Ma ti pare che il governo dice alla gente di pagare le tasse, ognuno si calcola l'importo, se sbaglia paga la mora, e via con la rissa negli uffici pubblici. Bel paese di merda!

Privatizzano le aziende statali, dicono che si chiamano ‘esternalizzazioni’ e che anche uno che ha il contratto a tempo indeterminato da oggi rischia il licenziamento, l’IVA è al 22% e si risparmia pure sugli assorbenti, i commercianti di tutti i tipi non fanno lo scontrino nemmeno per i pagamenti di duemila euro, niente fattura, niente casini, paghi 100 euro in meno e qua la mano. 



E continuiamo a guardare i telegiornali e a farci avvelenare le cene. Io non lo guardo più il tg ma quando lo guardo mi viene la gastrite. E devo prendere il Riopan. Il medico dice (ridendo) che devo prenderlo ogni volta che guardo il tg o sfoglio un quotidiano. Così, per prevenzione.
Mi viene in mente il consiglio di Duccio, il personaggio di Boris. Lui sì che lo prendo sul serio. 



giovedì 29 settembre 2011

Esagerazioni molto personali - La città dei porci

Caro diario,

quello che sento in questo momento è solo un traffico frastornante fatto di clacson scarichi e di gente a rischio infarto per imprecazioni moleste tipo ‘li mortacci tua’ e poi una tosse persistente della mia coinquilina che oggi ha fatto un esame con la voce completamente scarica. Questi suoni rimbombano nella stanza e sento come una dose di buonumore che mi pare veramente strana perché immotivata. Diciamo che non ho alcun problema, in cucina c’è una pentola con fagioli sedano cipolle e carote e tutto bolle. Ho solo un nodo allo stomaco che si scioglierà presto, ne sono sicura. Però va tutto bene, ho ancora un lavoro e sento che tra un po’ di tempo potrei anche riuscire ad andarmene via da questa città e mi sento veramente meglio. Il sole la mattina non è tanto caldo qui, esco presto, prestissimo e vado sempre con le scarpe più scomode, arrivo e trovo le mie colleghe al bar con un tipo molto simpatico che mi fa ridere sonoramente già alle 7 e mezza di mattina, il che non è poco, penso, mi guardo intorno, scruto la gente e hanno tutti il viso più stanco del mio, mi dico che anche i bambini sono infelici in questa città, che le mattine sono scomode per cerette e faccende estetiche di ogni tipo: tutti brutti, pelosi, con le borse sotto gli occhi, senza nemmeno i soldi per il deodorante credo, sciupati, secchi e infelici. Non è la mia città. Li lascio a voi questi rumori molesti, queste urla immotivate, questi marciapiedi fatti di topi e scarpe firmate, questa mezz’aria fatta di botulino e cocaina, questo stress morbido che fa diventare pazzi, questo fare le cose per forza, questa noia quotidiana fatta di insulti e corse per prendere il 3. Io mi accontento della mia dose di buonumore che arriva di rado e quando arriva è spiazzante anche per me ma mi rende lucida, tanto lucida da capire che non è questo il mio contorno ideale.







lunedì 28 marzo 2011

Noi e la Libia

Quindi c’è una videoconferenza a quattro paesi, e l’Italia, si scrive sul ‘Corriere’, non è stata invitata. Ci sono Germania, Usa, Inghilterra e Francia. Ovvio. Giusto, giustissimo.
Leggo che a Lampedusa è la rivolta e questa volta ce lo siamo veramente meritati. Abbiamo dei problemi più grossi noi a cui pensare, e tutti incentrati su di lui, tutti problemi che riguardano lui.
Nel frattempo ho mandato curricula tutto il santo giorno, sperando che qualcuno risponda. Nel frattempo c’è chi dice che è meglio tornare a Palermo e chi da Palermo non se ne può proprio andare e chissà come fa. C’è chi non se ne vuole andare e chi invece è andato troppo lontano ma alla sua terra ci pensa sempre. C’è chi, un po’ per nostalgia e un po’ no, da Bruxelles è tornato a Mazara del Vallo e chi non ci crede più nemmeno per sogno nell’isola nera. 
La mia terra, caro Napolitano, è un’isola, e le isole sono abitate di isolani isolati per scelta. Da noi è rimasto solo chi voleva rimanere isolato e quelle facce che chiedono pietà, per noi non sono altro che disturbatori, fonti potenziali di pericolo, bianchi travestiti che ti tolgono lavoro. Non li vogliono questi immigrati, non li hanno mai voluti. Questo, caro Napolitano, è un fatto nuovo nella storia, perché ora non sono più cento o duecento, ora è il mare che si ribella e vomita nero. Fosse per me prenderei in casa tutti quelli che ci entrano, ma loro non sono ospitali con chi la casa se la vuole prendere con la forza. Non tutti sanno quello che hanno passato, da dove vengono, cosa succede nel loro paese. 
Caro Napolitano, la causa prima di questa situazione tu la conosci bene, e si chiama Berlusconi. A lui si devono gli accordi con la Libia per il gas e il petrolio. È sua la colpa, e di Frattini, e di Amato. 
Non giudicarci Napolitano, noi siamo gli abitanti della regione più regredita dell’Italia, e a Linosa hanno addirittura la luce e il gas ma lì il progresso è arrivato a stento. 
Noi, se non abbiamo uno zio o un parente che conta siamo costretti a sparire, a lasciare genitori, famiglia e tutto; noi se vogliamo lavorare dobbiamo pagare il pizzo; noi ne abbiamo tanti di problemi. 
Li abbiamo viziati questi libici, ecco qua, perché ci faceva comodo e ora ci sostituiranno. Ma noi abbiamo anche altri problemi. Non ci avevamo mai pensato, è vero. Ci pensiamo solo ora, grazie agli egiziani, ai tunisini, ai marocchini, ai libici e a tutti gli africani.

martedì 8 giugno 2010

Come un uomo sulla terra

Stamattina mi sono svegliata presto per andare a lezione. L’ultima lezione, credo, della mia carriera universitaria.
Questa lezione ha avuto un significato molto particolare. C’era un ospite in aula. Un ospite importante, invitato dal professore di Giornalismo d’inchiesta Pietro Veronese (“La Repubblica”).

In aula c’era Dagmawi Yimer, un ragazzo etiope sbarcato in Italia dopo un lungo viaggio.
Dagmawi studiava giurisprudenza ad Addis Abeba ed è fuggito in Italia per via della difficile situazione nel suo paese d’origine.

Negli anni ’80 e ’90 in Etiopia c’era la dittatura dei ‘militari rossi’ di Menghistu Haile Mariam, poi sostituita da un governo neoliberale.
Oggi il potere autarchico e repressivo del governo di Melles Zenawi spegne ogni speranza di rinnovamento civile in Etiopia. Attualmente quasi tutti i leader dell'opposizione sono incarcerati o dispersi.
Questa premessa serve a comprendere le ragioni della partenza di Dagmawi.
Lui, che non ha potuto salutare i suoi genitori perché non gli avrebbero permesso di andarsene. Lui che ha attraversato il deserto a bordo di un pick up in condizioni di degrado estremo, stipato insieme a decine e decine di persone. Lui che, arrivato in Italia, ha incontrato Frattini ad una conferenza sui rapporti tra Italia e Libia e non gli ha nemmeno sputato in faccia. Lui che è stato venduto alla polizia libica per trenta denari. Lui che ha avuto il coraggio di raccontare.

Parlava piano, lentamente e a bassa voce. Era dolce, ascoltava le domande e rispondeva, parlava bene l’italiano, aveva gli occhi lucidi e un garbo da far invidia.
In pochi forse sanno (dato che la notizia è stata non dico occultata ma trattata come minore) che nell’agosto 2008 Berlusconi e Gheddafi hanno firmato un “trattato di amicizia, partenariato e cooperazione”.
Nell’ottobre del 2007 ENI e NOC, la società petrolifera dello stato libico, hanno siglato un accordo per lo sviluppo della produzione del gas in Libia per ventotto miliardi di dollari in dieci anni.
Già nel dicembre del 2007 un Protocollo di collaborazione tra il nostro paese e la Libia era stato sottoscritto dall’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato. La prassi illegittima del rinvio forzato è stata legalizzata.
Berlusconi, pur di togliersi dal cazzo questi immigrati, decide di spedire oltremare motovedette, fuoristrada e sacchi da morto (e non è uno scherzo), insieme ai soldi necessari per pagare i voli di rimpatrio e tre campi di detenzione (veri e propri centri di tortura).

La polizia libica è forse la peggiore di tutto il pianeta.
Mentre il Presidente firma gli accordi per il gas con Gheddafi, migliaia di africani vengono torturati nei campi di detenzione costruiti con i nostri soldi. Picchiano la gente etiope solo perché non è araba. Stuprano le loro mogli, li mettono in una stanza, ammassati come le bestie. Loro non possono nemmeno dormire per quanto stanno stretti. Fanno i turni.
Le peggiori torture le subiscono nel Centro di detenzione di Kufra.
Ricordatevelo. Kufra.
Non solo lo stato libico ricorre ancora alla pena di morte, ma è ancora molto diffusa la pratica della tortura, soprattutto nelle carceri (incatenamento a un muro per ore, percosse con bastoni di legno, scariche elettriche, succo di limone nelle ferite aperte, avvitamento di cavatappi alla schiena, fratture delle dita, soffocamento provocato con buste di plastica, privazione del sonno, di cibo e acqua).

Cioè, mentre Berlusconi si fa i lifting e le sue porcate a Villa Certosa, mentre la Gelmini riduce i programmi, le ore di lezione e fa discriminazione tra bambini italiani e stranieri, mentre Alfano vuol far passare il lodo più anticostituzionale della storia, mentre si inneggia Mussolini, mentre la libertà di stampa è abolita e le intercettazioni diventano motivo di multe salatissime per giornalisti ed editori, mentre la crisi flagella statali e non, mentre migliaia di giovani pagano un affitto di cinquecento euro al mese per una singola nella capitale, mentre si studia per niente, mentre le province vengono ridotte e per le donne l’età pensionabile viene fissata vent’anni dopo la menopausa, nel frattempo, alla Sapienza, alle otto e mezza del mattino, devo pure commuovermi insieme a Dagmawi perché è stato picchiato, derubato e umiliato, detenuto nei centri africani fatti costruire con i nostri soldi!

Ecco. Ecco cosa siamo.

Lui non reagisce, a me viene solo da piangere. E lo guardo, e mi sembra forte; anzi fortissimo.

Sorride quando un italiano lo guarda. Non ha pregiudizi nei nostri confronti. Va in giro per le scuole e le università. E io mi vergogno del mio paese, e non riesco a dire nulla. Rimango muta, con lo sguardo incredulo.
Lui sorride e dice che proprio oggi ha saputo che un poliziotto libico ha violentato una ragazza di ventidue anni. Lui la conosce. Oggi è un po’ triste per questo.
«Io non posso fare niente», dice. E poi dice: «non è Berlusconi, non è solo lui il problema. La sinistra ci ha trattati allo stesso modo. La destra e la sinistra sono uguali». Lui lo sa questo.

Lui lo sa. E non guarda la nostra tv, non legge i nostri giornali. Eppure lo sa. Lui l’ha provato sulla sua pelle.





Dagmawi ha realizzato il documentario
COME UN UOMO SULLA TERRA

Prefazione di Ascanio Celestini. Con il patrocinio di Amnesty International.
il film di Andrea Segre, Riccardo Biadene e Dagmawi Yimer, con un libro dell’Archivio delle Memorie Migranti a cura di Marco Carsetti e Alessandro Triulzi

Autori: Riccardo Biadene, Marco Carsetti, Andrea Segre, Alessandro Triulzi, Dagmawi Yimer



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