venerdì 14 novembre 2014

Noi non siamo speciali

Al corso d’inglese l’insegnante ci chiede cosa faremo il prossimo fine settimana. 
L’ ambiente è abbastanza eterogeneo, una fetta ricca di figure professionali si incontrano due volte a settimana per dar vita ad un interessante esperimento sociale e relazionale. È in quell’aula che la carta opaca che non mi permette di vedere a un metro dal mio naso mi si stacca dagli occhi. Ci sono campioni sociali di ogni tipo: c’è il cassintegrato, l’esodato, l’avvocato, il chimico, la grafica, la studentessa, l’impiegata amministrativa, il postino e via dicendo. Qualcuno ha detto che trascorrerà il sabato a casa a riempire lavatrici e pulire i pavimenti perché durante la settimana non ha avuto tempo. Qualcun altro si rilasserà a casa guardando la tv e al massimo la sera andrà a mangiare una pizza con gli amici. O forse una passeggiata ma se non sbaglio questo fine settimana è prevista pioggia, dice un altro.

La vita di tutti noi, da un po’ di tempo, la trovo ripugnante. Ho sempre pensato che sia da sfaticati non lavorare, aspettare che il lavoro ti cada dal cielo, non impegnarti con tutte le tue forze per ottenere un colloquio, un lavoretto in un bar, in un ristorante qualsiasi. Dobbiamo pur adattarci al contesto e spegnere quei sogni velleitari che i nostri genitori ci hanno instillato come medicamento egoistico quando siamo nati, lasciarci giustamente uccidere dalla realtà perché la vecchia generazione ha preteso che i loro figli fossero i migliori, i più bravi, i più speciali. Non ci hanno detto però perché noi figli degli anni ottanta e novanta siamo speciali. E questo buco, questo vuoto di educazione ha compromesso la nostra capacità di adattamento al mondo contemporaneo. 
Io dico sì, sbattiamoci per trovare un lavoro e mettiamo da parte le lauree, sacrifichiamoci e dimentichiamoci pure di essere speciali. Perché non siamo speciali in realtà, è lo scarto tra il senso di rivalsa postuma dei nostri genitori e la realtà sociale e lavorativa che ha creato questo mito. 
Ma mi chiedo se non sia meglio così, non lavorare, avere un mucchio di tempo libero per sé stessi da non sapere come spendere perché non si percepisce uno stipendio. Perché ovviamente solo il denaro può comprare la felicità. 
Ma questo circolo vizioso, se inizi a lavorare, si spezza. 
Vado a fare shopping al centro commerciale e solo così la maledetta noia della domenica svanisce. E l’odio per la domenica ha a che fare con l’odio per il lunedì, quando vado a lavoro (non ho studiato per  fare questo lavoro ma io non sono speciale), quando cambio nuovamente ruolo sociale e mi trasformo in una persona diversa, che accetta il compromesso, una persona diplomatica e sorridente con tutti, anche con gli stronzi. Ma io non sono diplomatica e sorridente. Allora sto vivendo la vita di qualcun altro? mi chiedo. Non va bene vivere la vita di qualcun altro, essere sempre sorridenti e pazienti, indossare vestiti stretti per sembrare più magra e presentabile e soprattutto sorridere e ridere alla battute degli altri quando non c’è un cazzo da ridere. Tutto questo ridere e far finta che vada tutto bene mi farà venire un tumore. Farà venire il tumore a tutti quanti. Perché il lavoro, per come è concepito oggi, è solo un tumore. Far finta di vivere una vita normale quando non hai diritto a niente di ciò che volevi. E cosa volevi? Volevi vivere serenamente, poter dedicare del tempo alla tua individualità, a coltivare la tua identità, a crescere, imparare dagli altri, leggere e andare al cinema, a teatro, studiare  sempre, viaggiare, avere dei bambini da portare al parco, pranzare insieme la domenica, genitori figli e nonni insieme, vivere nella stessa città di tuo fratello almeno, non dover scegliere chi seguire tra il tuo ragazzo, la tua famiglia e i tuoi amici che vivono tutti quanti in posti diversi. Poter stare sereni.

Lavoratore e non lavoratore vivono entrambi in una palafitta costruita in mezzo al nulla. Chi non lavora è frustrato perché non ha i soldi ma chi lavora, i pochi soldi che guadagna, è costretto a spenderli comunque dentro quella palafitta per comprare i sogni degli altri. 

lunedì 3 novembre 2014

Porta Susa

Ho comprato le vongole al mercato del pesce, il prezzemolo e la frutta, i gianduiotti e le banane che piacciono a mia madre, i cereali che piacciono a mio fratello e la marmellata che mio padre spalma sulle fette biscottate a colazione. 
Inizio a cucinare e metto in ordine la casa.
Alle 13 scendo e prendo la bici. Inizio a pedalare veloce e per poco non metto sotto una signora. C’è il sole oggi e non fa freddo. 
Mi guardo intorno a scrutare la città, mi chiedo se può andar bene. Voglio che Torino faccia un’ottima impressione anche a chi arriva dal mare. Mi chiedo se è tutto perfetto e studio la strade per vedere se sono pulite e i cassonetti per assicurarmi che siano vuoti e il traffico e l’abbigliamento dei passanti. Niente deve disturbare la mia famiglia. Devono apprezzare questa città e il suo profumo, devono sentirsi a casa, cambiare idea e trasferirsi qui.
Sono le 13.20 e un gruppo di studenti gioca a rincorrersi davanti alla stazione. Il sole è caldo e mette di buonumore. Una ragazza si avvicina e mi chiede dove sia l’agenzia delle entrate. Un vecchio è in piedi davanti all’ingresso e guarda la gente passare. Le macchine si fermano per far attraversare i pedoni e la gente in bicicletta. Non c’è traccia di sporco, tutto brilla e il tabellone luminoso segna 15 gradi. Perfetto.
Scrivo un messaggio a mia madre per indicarle l’uscita giusta e aspetto. Controllo il meteo sul cellulare. Bel tempo fino a domenica. Bel tempo fino al giorno in cui ripartiranno.
Studio ancora una volta la cartina, dove ho cerchiato in rosso i posti migliori, quelli che voglio vedano assolutamente.
Poi squilla il telefono.
‘Uscita D’

È il momento più bello, quando vedo sbucare i sorrisi uno ad uno, loro avvolti da giubbotti e piumini che manco Totò a Milano, mi guardano e sono felici e pure io e ci abbracciamo e ci chiediamo tutti insieme ‘come stai’.
‘C’è il sole’, dico.
Prendo il borsone e lo metto nel portapacchi della mia bicicletta. 

Oggi è una bellissima giornata.