Mi ricordo il nonno Gaspare che guardava “I fatti vostri” alla tv e sorrideva quando parlava Magalli, quasi fosse fiero di lui, emozionato nel vederlo in televisione, nemmeno fosse una sua scoperta mediatica.
Ogni volta che tornava dal mercato, carico di buste, mi portava sempre un Kinder Cereali.
La nonna Nunzia, quando dormivo a casa sua, mi preparava per colazione la cioccolata calda. La sera, per non sporcare un bicchiere, prima di andare a letto mi dava l’acqua dal mestolo. Cucinava molto bene gli involtini di vitello col salame, il pangrattato, passolini, pinoli e un pizzico di burro, i carciofi fritti, i gamberetti marinati con olio e limone e i ditaloni al sugo. La frutta se la faceva sempre sbucciare dal nonno, era il suo modo per farsi viziare.
Amava le bambole di porcellana e le pettinava come fossero bambine. Diceva sempre che da piccola aveva ricevuto in regalo un bambolotto ed era stato il regalo più bello e più desiderato della sua vita. Suo padre e suo fratello Silvestro erano morti in guerra e lei conservava le loro fotografie nella stanza del cucito. Aveva una macchina da cucire Singer, bellissima e la vedevi con il piedino veloce e quelle dita affusolate e lisce gestire la stoffa con una maestria incantevole e guardarla dall’esterno era uno spettacolo, sembrava fosse seduta su una giostra o che stesse partecipando ad un rituale sacro con tutto il corpo.
Negli ultimi anni, durante la malattia, cercava sempre di afferrare qualcosa dai vestiti, come dei fili di cotone oppure provava a girare i lembi della stoffa come volesse cucirne l’orlo. Doveva sentire la mancanza di quel balletto meccanico che era per lei il cucito e ripeteva quei gesti muti come fossero radicati da sempre nella sua persona.
Aveva un modo tutto suo di viziare me e Daniele, i suoi unici nipoti. Emanava una dolcezza e una serenità contagiose e per intere fasi della mia infanzia e preadolescenza l’ho reputata una delle mie migliori amiche. A lei potevo dire se avevo saltato la scuola, era sempre comprensiva e mi trattava come fossi una sua pari. Ecco, la cosa che ricordo vivida più di tutte era la nostra complicità, che si realizzava in abitudini consolidate, coccole e fiducia reciproca. La nonna mi manca tantissimo, la nonna mi ha insegnato a scrivere e a leggere, mettendomi sotto mano riviste e album da disegno, faceva sembrare la vita un gioco, in cui si poteva guardare “Lupin” e “Il mio nome è Jam” la domenica mattina, in cui la nonna fa quello che deve fare una nonna, viziare la propria nipote.
Aveva un cassetto pieno di foto e mi piaceva guardarle sempre, anche se le conoscevo a memoria, aveva tantissimi bottoni, gessetti per il cucito e stoffe di vario tipo. Conoscevo il contenuto di tutti i cassetti e dei mobili della casa, avrei potuto indovinarne l’odore e i colori.
Gli anni delle coccole sono stati quelli passati con la nonna Nunzia, che metteva il rossetto la domenica mattina per andare a messa al duomo di Monreale, con me e il nonno, in autobus. Aveva una cugina che si chiamava Rosa e che sorrideva sempre con gli occhi piccoli e appannati, era magra più di lei, minuscola. Aveva una cugina americana con degli occhiali semiscuri e il capello corto da maschiaccio, delle vicine di casa sempre pronte ad aiutarla, la signora Falcone e la signora Delfino e una un po’ più scontrosa proprio sullo stesso pianerottolo, la signora Currieri. Mi portava sempre con lei, dalle sue amiche oppure a fare la spesa e chiunque la incontrasse la salutava perché lei era gentile con tutti.
Mi raccontava sempre delle storie di mio padre, quando l’avevano derubato a Mondello ed era tornato senza scarpe o quando era con Salvo e Santino e ‘facevano l’opera’, come diceva lei. A volte prendeva i suoi quaderni per mostrarmi i suoi voti delle elementari, fiera di avere un figlio che non le aveva mai dato problemi né a scuola, né nella vita.
Voglio ricordare i miei nonni, voglio lasciare scorrere quell’ondata di spensieratezza di bambina che mi ha resa una persona migliore, voglio scorrere quelle foto, cercando un collegamento con la mia vita attuale. E la sensazione più strana di tutte è il senso di estraniamento che provo non nella vita passata ma nella vita reale, dove nulla è più al suo posto e dove non sento ancora mia la parte dell’adulta.