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lunedì 2 giugno 2025

Il disagio giovanile secondo Massimo Recalcati

 


Venerdì 30 giugno, nell’ambito del Festival Internazionale dell’Economia di Torino, lo psicoterapeuta e intellettuale Massimo Recalcati ha tenuto un incontro dal titolo urgente: Il disagio giovanile. Un intervento lucido e appassionato che parte da un presupposto chiaro: non esiste disagio psichico che non sia legato alla società in cui viviamo. Ogni forma di sofferenza mentale è, in ultima analisi, una risposta ai cambiamenti sociali, culturali, economici. Per questo motivo, capire il disagio dei giovani oggi significa analizzare a fondo il mondo che abbiamo costruito intorno a loro.

Due sono i grandi paradigmi che secondo Recalcati dominano la nostra epoca: il paradigma libertino e il paradigma securitario.

Il paradigma libertino: schiavi dell’oggetto

Nel paradigma libertino, il modello dominante è quello del capitalismo performativo, dove il valore supremo è l’oggetto da consumare. In questo mondo, l’oggetto promette salvezza, ma è una salvezza effimera, che deve subito svanire per poter essere nuovamente inseguita. Il desiderio non è più tensione creativa verso l’altro o verso il mondo, ma semplice spinta compulsiva verso un bene da possedere.

Le relazioni, anche quelle umane, diventano scadenzate. L’oggetto comanda il desiderio e lo svuota. Il sistema ci costringe a una connessione perpetua — con le cose, con le immagini, con le prestazioni — per evitare l’unica connessione che conta: quella con l’altro. In questo circuito vizioso, è il consumatore stesso a essere consumato, prosciugato, svuotato, eliminato dal culto cieco dell’oggetto.

Il paradigma securitario: difendersi dalla vita

Il secondo modello, speculare e opposto, è il paradigma securitario. Qui il disagio si manifesta sotto forma di ritiro, chiusura, depressione. È la logica della “neomelanconia”, come la chiama Recalcati: la tentazione di uscire di scena, di sottrarsi a un mondo che chiede solo di performare, competere, produrre.

I giovani più sensibili scelgono allora di non giocare la partita. Preferiscono proteggersi, anche al costo di sparire. Nasce così una nuova forma di protezionismo psichico, dove l’io alza muri per difendersi dalla pressione del mondo. Il fenomeno giapponese degli hikikomori, i ragazzi che si chiudono nelle loro stanze per anni, è solo uno dei tanti volti di questa fuga.

Alla base di tutto c’è un nodo tragico: la fatica di desiderare.

La vocazione del desiderio

Il desiderio è diventato un bene raro. Desiderare implica esporsi, cercare, rischiare. Ma se il desiderio è vissuto solo in opposizione al dovere, allora diventa lacerante. La svolta, dice Recalcati, sta nel riconciliarli: unire desiderio e dovere, scoprire che si può essere fedeli a se stessi senza tradire la realtà. Il desiderio, se è autentico, assomiglia alla vocazione: è costante, tenace, capace di accendere la vita.

Il ruolo dei genitori: testimoni del desiderio

In tutto questo, qual è il ruolo dei genitori? Come possono aiutare i figli a non spegnersi?

Secondo Recalcati, la risposta non sta nei discorsi, ma nell’esempio. Le vecchie generazioni devono tornare a essere testimoni del desiderio. Non devono solo “insegnare” qualcosa, ma mostrare che è ancora possibile appassionarsi, emozionarsi, cercare un senso. Devono far vedere che esiste una vita oltre l’oggetto, una vita che vale la pena di essere vissuta perché è intensa, imperfetta, autentica.

Il legame tra genitori e figli è, dice Recalcati, l’unico legame d’amore che trova il suo compimento nella separazione. Ma una separazione sana è possibile solo se i figli hanno visto in chi li ha cresciuti una fiamma accesa, una vocazione. Se hanno imparato che vivere non è solo sopravvivere.

In un tempo che spegne i sogni e congela i corpi, parlare del desiderio come forza rivoluzionaria è un gesto radicale. È un invito a tornare umani, a scegliere la vita, come non mi stancherò mai di ripetere.

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