mercoledì 31 ottobre 2012

La generazione dell'OKI


Stamattina ho trovato sul comodino un foglio accartocciato. Era la poesia che aveva scritto mesi fa la mia ex coinquilina, una che si pagava affitto e università a Roma con i suoi bei soldini. Ogni tanto rischiava di morire di fame e per questo meditava sulla possibilità di fare marchette a Termini. Di sera lavorava come cameriera in un ristorante, uno di quei posti in cui non possono fare a meno di te ma ti pagano poco e ti sfruttano troppo. Trovi le sale sempre affollate di gente di un certo calibro come Cristian De Sica, Tonio Cartonio, Paola Cortellesi, Rex il cane (giuro!), Martina Stella. Insomma, è frequentato da personaggi famosi e quindi non puoi fare errori.


Per laurearsi in Editoria e Giornalismo, qualche mese fa, ha scoperto che aveva necessariamente bisogno di fare uno stage non retribuito in una delle aziende convenzionate con la facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza. Durante questi tirocini, ti insegnano tante cose come rispondere al telefono, usare la macchina fotocopiatrice e scrivere e-mail, insomma cose che sapevi fare anche quando eri piccola. E sapete dove lo fa questo tirocinio? In un centro scommesse. Non scherzo, giuro che è la verità. Quest’ultimo lavoro ovviamente lo fa gratuitamente, un po’ perché noi precari abbiamo sviluppato questa passione per il masochismo e un po’ perché non ci lasciano altra scelta.Dicevo che, stamattina, mi è capitata tra le mani questo foglio in cui c’era scritta una poesia ispirata, per così dire, dal maestro Ungaretti con il quale, noi precari, ci troviamo spesso d’accordo, a nostro agio, in perfetta sintonia. La poesia recitava così: Si sta come a Natale sugli alberi di Natale gli addobbi di Natale. "Ungaretti a Natale" sembrava una cosa da ridere eppure, quando io e i miei ex coinquilini ci siamo messi a ridere mentre la leggeva, lei è rimasta seria e ci ha rimproverati. Ha detto: "non c’è proprio niente da ridere".Il vero trauma dei bamboccioni choosy della nostra età è che si sentono inutili perché nessuno ha bisogno di loro. Una ragazza che ha la passione per la scrittura, invece di iniziare a lavorare per il giornale del suo paese o della sua città e ricevere una paga a fine mese, va a lavorare come cassiera in un autogrill. L'unica cosa che la soddisfa è scrivere i suoi versi sulle mattonelle del cesso di quell’autogrill, dove peraltro la sua collega della stessa età - che 'da grande' voleva insegnare - fa le pulizie giornalmente, cancellando quei versi a colpi di Chanteclair.Questa è la generazione dell’OKI, quella che si droga di Novalgina, Aulin e antidolorifici in generale. Ne abbiamo le tasche piene dei dolori, noi. Tutti perduti nel dramma delle medicine, degli psicofarmaci, della disoccupazione.

mercoledì 24 ottobre 2012

Choosy


Ho sempre qualche problema con i telegiornali, mio caro. Non capisco mai se ci prendono per il culo o dicono sul serio. Ci sono sempre un sacco di notizie di cronaca, ci vogliono mettere paura e ci riescono pure. Per ora si parla dell'Ilva, di che fine farà il Pdl, di Renzi, del tipo ucciso a Napoli e della ragazza accoltellata a Palermo. Ma ieri ho sentito il discorso della Fornero. Ero davanti alla tv con mio padre e ho sentito che diceva che noi non dobbiamo essere 'choosy'. Forse voleva dire 'Giusy', ho pensato. Mi sono persa qualcosa? Chi è Giusy? Poi ho capito che aveva detto veramente 'choosy'. Ora, aldilà di quello che ha detto, ma ti sembra un discorso da fare in un paese come l'Italia? Perché la Fornero non parla come mangia? Ma ti pare che un signore di un qualsiasi quartiere popolare di qualsiasi città, possa capire cosa intenda? Nanni Moretti forse l'avrebbe schiaffeggiata. Le parole sono importanti! 
Poi, mi sono soffermata sul significato. Dicono che significhi 'schizzinosi. Tu non farci caso. Tu non lo guardare nemmeno il telegiornale. Noi ce la mettiamo tutta. 
Ti alzi presto e vai a lavoro. Sei a Torino adesso e io spero di raggiungerti presto. Esci dallo studio alle nove, ogni giorno. Non hai firmato alcun contratto. Lavori pure il sabato e negli ultimi tempi ti hanno chiesto di lavorare anche la domenica. Sei distrutto e non hai tempo nemmeno per mettere i panni in lavatrice. Io non trovo nulla per ora, sto vendendo le mie collane e i miei orecchini ma, come sai, tutto di nascosto. Dovrei farmi la partita Iva. Sugli annunci trovo offerte di lavoro assurde, c'è chi cerca una barista formosa e tatuata, chi per lavorare ti propone un corso di formazione iniziale a pagamento, chi chiede stagisti per la raccolta dei rifiuti con un 'piccolo' rimborso spese e chi cerca una cameriera ma poi, rispondendo sulla mail privata, spiega che in realtà ha bisogno di una spogliarellista per un locale di Torino. Che culo! 
Ieri sera ho mandato un curriculum ad una redazione on line. Mi hanno risposto oggi, ed è già una vittoria. Mi hanno scritto: 'scusa ma non ho ben capito cosa intendi per collaborazione. Noi non paghiamo la gente che scrive per noi'. Ho risposto:  'ma figurati se volevo essere pagata. Io non sono così 'choosy'.

martedì 2 ottobre 2012

Una comune mattinata da precari


Quella mattina avevo bisogno di soldi. Per andare a Torino avevo comprato un biglietto da Roma andata e ritorno Trenitalia ed era costato cento euro. 
Non lavoravo, facevo collane e orecchini e, soltanto in due occasioni avevo avuto il coraggio di allestire alla meno peggio una bancarella per strada. La prima volta era andata abbastanza bene perché ero in un luogo sperduto, la seconda ero in regola perché alla festa di Liberazione bastava versare una piccola quota ad un’associazione di artigiani. 

A Roma, c’è un posto dove è più facile vendere: davanti all’univerisità. C’è un viavai di ragazzi e ragazze che ciondolano per le strade. Mi ero portata tutto in uno zaino, avevo qualche paio di orecchini e un bel po’ di collane. Avevo approfittato della compagnia di una mia amica che doveva vendere un libro.
- Domani vado all’università.
  • Vengo con te!
  • Tu che devi fare?
  • Io devo vendere la mia bigiotteria, e tu?
  • Io devo vendere un libro ad una ragazza.
  • Brava, ti dai da fare. E quanto lo vendi?
  • Cinque euro, perché sono fotocopie.
  • Ah. Ma ti conviene spendere tre euro di biglietto Atac per guadagnare solo 5 euro. In pratica così ne guadagni solo due!
  • Vabbè, mi ci compro gli assorbenti.
Così era andata la conversazione.

Ci eravamo svegliate presto perché la ragazza del libro era in facoltà fino alle dieci. 
Se i giorni precedenti, a Roma, si erano sfiorati i 40 gradi e avevamo dovuto tenere le persiane chiuse per quanto era accecante il sole, quel giorno non solo le nuvole si affollavano nel cielo, ma si era messo a piovere di brutto. 
Arrivate sul posto, avevamo deciso di allestire il tutto vicino ad un bar, coperte da una siepe sia per non farci rimproverare sia per appoggiare l’ombrello da qualche parte, in modo tale da poter riparare la merce. Ne avevamo solo uno, quindi noi l’acqua ce la prendevamo, e come!
Avevo appena finito di posizionare la bigiotteria su una bacheca di sughero, incastrato i miei bigliettini da visita tra una collana e l’altra, trovato un modo per non bagnarmi e vinto la timidezza, quando si avvicinava un tipo con il pizzetto bianco, un uomo di mezza età.
- Qui non potete stare, è pericoloso!
  • Come pericoloso?
  • Si vede che siete nuove tu e la tua amica. Qui nun se po’ sta’.
  • E perché ‘nun se po’ sta’?
  • Perché quelli del bar non vogliono. Ma voi ce l’avete la partita IVA?
  • La partita che? Secondo te c’ho la partita IVA? Sto cercando di vendere quattro cazzate perché sono disoccupata da mesi. Per aprirmi la partita IVA mi servirebbe un mutuo!
  • Vabbè, vabbè, ho capito. Ma da qui ve ne dovete annà.
  • Mi scusi ma lei chi è?
  • Io sono un artigiano, mi metto sempre qui a vendere, faccio ‘sto lavoro da ‘na vita.

Ho pensato subito che mi voleva fottere. Ho pensato che ce l’avesse con me perché pioveva e io avevo sfidato la pioggia e lui no, ho pensato che mi voleva fottere il lavoro, che mi voleva cacciare per evitare la concorrenza. Poi però ho detto, ‘e anche se fosse’? Davvero devo rischiare che mi facciano la multa o che mi sequestrino la merce?

  • E dove ci dovremmo mettere, allora?
  • Potete provare lì, sulla strada.

Sulla strada. Bah.
Comunque ci eravamo guardate negli occhi e avevamo deciso di spostare tutto, tutto precario, la roba avvolta in un telo, gli immigrati che facevano lo stesso lavoro erano lì a deriderci e io pensavo che non era il lavoro per me. Ci eravamo piegate in due dalle risate tanto era buffa la situazione, eravamo impacciate, per non bagnarci coprivamo la merce con i nostri corpi, non avremmo fatto un soldo nemmeno pregando la gente. Se avessimo chiesto l’elemosina sarebbe andata meglio. 
Avevamo allestito di nuovo il pannello di sughero, la gente passava e ci scansava come la peste. Avevo provato a porgere un bigliettino da visita ad una signora dicendole ‘Signora posso lasciarla il mio bigl...’ ma non mi aveva fatto finire la frase. Mi aveva liquidato con un  ‘no no no grazie’ ed era scappata. Aveva preso a piovere forte e ormai non vedevo più. Allora ho tolto gli occhiali. 
Potevo vendere solo quel giorno, il giorno successivo sarei partita per Torino e avevo bisogno di soldi.
Niente. Non si era avvicinato nessuno. Anzi, uno si era avvicinato, quello di prima. Quello col pizzetto bianco. Aveva detto:
- ragazze, qui tra poco, appena smette di piovere, arrivano gli sbirri in borghese e vi sequestrano la merce.
  • Addirittura, è una cospirazione allora?
  • No davvero ragazze, qui hanno tutti la licenza per vendere.
  • Ma se ci sono solo immigrati, e magari pure senza permesso di soggiorno!
  • No, non è così. Io questo lavoro lo faccio da sempre.
  • Vabbè, ora andiamo, noi volevamo stare solo due ore, vendere qualcosa. Io sono disoccupata, e che devo fare? Ho cercato di inventarmi ‘sto lavoro. Ho una laurea specialistica in Editoria e Giornalismo, e lo sai che ci faccio con quella? Lo puoi intuire da solo.
  • Avete ragione ma da qui ve ne dovete anna’.


La ragazza straniera era arrivata. Era slava o turca, non so. Parlava strano. Voleva il libro, quello che costava cinque euro, le fotocopie insomma. La mia amica le aveva spiegato il programma, le aveva detto quali erano gli argomenti più importanti. Avevano parlato per venti minuti circa. Io nel frattempo avevo smontato tutto. Tutto. Avevo deciso di mollare.


Il ritorno lo abbiamo fatto a piedi, non volevamo dare nemmeno un centesimo a quelli dell’Atac. 
Siamo arrivati a San Lorenzo. La mia amica aveva visto su Internet un annuncio, un’offerta di lavoro in una caffetteria. 
Entrate nella caffetteria di Piazza dei Siculi, la mia amica ha detto:
- Salve, ho visto che avete bisogno di una barista.
  • Sì (tono scazzato)
  • Volevo qualche informazione perché sono interessata a questo lavoro.
  • Ah, ma tu lo sai fare questo lavoro?
  • Sì, lo faccio da quattro anni.
  • Ah
  • Volevo sapere quali sono i turni e quant’è la paga mensile.
  • Tutti i giorni, compresi sabato e domenica
  • Ok, e la paga?
  • No, torna un altro giorno. Per ora c’è confusione.

Ho pensato: ‘ma mica gli sta chiedendo un favore! Perché questo stronzo se la tira così tanto?’

Non abbiamo mai saputo quanto le avrebbero dato se avesse accettato di lavorare per questi figli di puttana.

Ci eravamo fermate in edicola per comprare il ‘Porta Portese’. Nel frattempo si era avvicinato un tipo e aveva chiesto:
- Scusate ragazze, per caso avete una sigaretta per un mio amico che oggi è senza un piede?
  • Eh? 
  • per caso avete una sigaretta per un mio amico che oggi è senza un piede?

Avevamo sentito bene.

  • No
  • Sicuro?
  • SICURISSIMO!

Arrivate a casa, abbiamo preso a sfogliare il Porta Portese. Non c’era l’inserto ‘Lavoro’.

- Ma non c’è l’inserto del lavoro! Ma come mai?
  • Che ne so, forse non c’è lavoro!
  • Assurdo, solo immobili e motorini, immobili e motorini!!! E niente lavoro! Solo due pagine di offerte di lavoro, all’interno.

La prima scritta della pagina delle offerte di lavoro diceva:
IMMIGRATI. COME DIVENTARE IMPRENDITORI.
Abbiamo riso.

lunedì 1 ottobre 2012

Offerte


Il supermercato detta la tua dieta. 
Se il riso è in offerta cucini riso con verdure, se la pancetta è in offerta fai la carbonara, se il vino è in offerta fai un mega aperitivo, se per caso la pasta è in offerta inviti anche qualcuno a cena. Roba da intenditori. 
Nessuno meglio di noi precari degli anni ottanta sa fare la spesa. Noi sappiamo cosa mangiare perché ci passano i volantini dei supermercati nella buca delle lettere. Noi, al pari delle signore casalinghe, anche se adesso le abbiamo superate in quanto a ingegno, prendiamo tutti i depliant di tutti i supermercati e sappiamo sempre cosa e dove comprare. 

A volte le offerte diventano modi per collocare gli eventi nel tempo. 
‘Ti ricordi quella sera in cui abbiamo cucinato la parmigiana perché svendevano le melanzane?’ 
‘Si, bella serata. Quella sera sono venuti Peppe e Silvia a cena. Ancora me ne parlano, di quella serata’. 
‘È stata la stessa sera che siamo andati a Piazza Sant’Anna’.
‘Si, quella sera in cui hai conosciuto quel tipo’.
‘Che ridere’.

Così sono le offerte, foriere di buone cose. Utili, provvidenziali, essenziali. 
Se non ci fossero le offerte, noi precari vivremmo ancora con i nostri genitori.