mercoledì 11 dicembre 2013

Sui Forconi

Verissimo che la crisi economica ci rende tutti più barbari e che i cittadini non ne possono più di vedere la loro città in balia di intimidatori e ricattatori. Ma verissimo anche che la maggior parte degli intimidatori, dei violenti e dei ricattatori son stati mandati a bella posta ( e non è certo la prima volta) nelle piazze per rovinare la protesta non violenta di cittadini esasperati. 
Non tutti i manifestanti sono violenti e non tutti sono rozzi e ignoranti come la maggior parte di noi crede. 
La protesta dei Forconi non è la protesta degli ignoranti, intendiamoci, è la protesta di gente che si è rotta il cazzo. E siccome non è appoggiata da nessun personaggio autorevole, allora diventa la protesta degli ignoranti. Vorrei riproporre l’appello del Centro sociale di Torino Askatasuna. Loro dicono così: “non vi chiediamo di aderire in toto alle modalità o alle parole d'ordine della protesta, ma di starci dentro e provare ad invertirne la rotta. Lasciare questa piazza in mano a fascisti e mafiosi può rivelarsi la mossa più controproducente". E non mi sembra per nulla una considerazione sbagliata.

Pure i poliziotti, l’altro ieri, si sono tolti il casco. Certo, ora tutti su Facebook scrivono che non l’hanno fatto alla Diaz perché avevano le mani impegnate e roba polemica di questo genere, ma queste volta l’hanno fatto. Subito però sono intervenuti i media a spiegare il gesto. Dicono fosse dovuto al fatto che l’ordine era stato ristabilito. Certo. 
Ma secondo voi può lo Stato ammettere che anche alcuni membri delle forze dell’ordine siano solidali alla protesta? Può lo Stato ammettere il fallimento dello Stato? Ovvietà, come di ovvietà è fatta l’informazione del resto. Io del giornalismo me ne sono lavata le mani dopo la specialistica, perché quello che in Italia chiamano giornalismo, eccetto alcuni rari casi vedi Iacona e Gabanelli, per me è roba ridicola.
Ma questo è un altro discorso. Andiamo ai forconi.
Che cosa vogliono questi stronzi? Vogliono più lavoro, ovvio, meno tasse, ovvio, vogliono poter esportare i prodotti anziché importarli e basta, ovvio, vogliono che lo Stato sia con loro, ovvio. Vogliono anche, o almeno una buona parte lo vuole, che l’Italia esca dall’euro. Ecco. 
Perché l’Italia dovrebbe abbandonare l’euro? Se lasciamo perdere tutte le polemiche contro i grillini di cui sinceramente non m’importa nulla, la loro intuizione non è proprio da ignoranti. 
Perché? Perché l’Italia cerca dal 2002 di rimettersi in pari con gli standard europei, e per farlo ha sacrificato risorse non solo economiche ma soprattutto umane. Da qualsiasi parte la guardi, la situazione attuale presenta uno Stato che non ha i soldi per garantire una ripresa economica (perché se li è mangiati tutti in puttane e mutande verdi) e che l’unico modo per rimettere in moto l’economia, è aumentare i consumi. Quindi l’idea di svalutare la moneta o uscire dall’euro o quello che vi pare, non è secondo me sbagliata. 
L’errore è stato fatto nel 2001, e noi ne piangiamo le conseguenze. 
L’ha spiegato perfettamente il professor di economia politica Alberto Bagnai,  nel suo intervento a Servizio pubblico (http://www.serviziopubblico.it/puntate/2013/11/14/news/euro_dentro_o_fuori.html?cat_id=10). E lo spiega citando Nicholas Caldor, economista che nel 1971 scrisse che una moneta unica europea avrebbe causato uno squilibrio commerciale e della bilancia dei pagamenti a causa di un regime di cambi fissi in assenza di regole sui salari, un fisco centralizzato e riequilibratori automatici. 
Trent’anni prima che l’euro nascesse era perfettamente chiaro perché non avrebbe funzionato. Se dei paesi diversi hanno una moneta unica, quando un paese viene colpito da una recessione si verifica la cosiddetta ‘mobilità dei fattori produttivi’ ovvero la mobilità dei fattori che servono a produrre i beni e cioè le persone, quindi in parole povere l’emigrazione. 
Di queste tematiche, nello specifico, pochissimi sono esperti, ma non ci vuole di certo un genio per capire che le economie di ogni paese sono basate su fattori diversi. La nostra è da sempre un’economia che si basa sull’esportazione. Non abbiamo, è vero, grandissime industrie. Ma abbiamo tante medie e piccole industrie che negli anni, e nella storia del paese, ci hanno garantito di essere annoverate tra i paesi più ricchi del mondo.
Se l’Italia ha venduto tutte le sue migliori aziende agli stranieri, se gli agricoltori siciliani sono costretti a buttar via quello che la nostra terra ci ha sempre offerto perché i prezzi degli altri paesi sono più competitivi, se i prodotti che troviamo nei supermercati oggi non sono quasi mai italiani anche se sopra vi si legge ‘made in Italy’, se gli autotrasportatori non riescono a campare per i prezzi della benzina, se le aziende non assumono, se la disoccupazione giovanile è al 41,2%, come vi permettete di dire che questa protesta è sbagliata o fascista o cosa? Ma quelli sono gli ultrà del Torino e della Juve, quelli sono i porci di Casa Pound! Questo è quello che dicono i tg! 
Mi sembra ovvio che il mal governo abbia generato una popolazione di gente impotente.
Questa protesta, prima di tutto, per tutti noi, è una forma di degrado mentale, un’ovvia evoluzione scaturita da anni di incertezze, impotenza e scelte politiche ridicole. Il nostro paese non è mai stato democratico, sfortunatamente.

Quindi allontaniamo gli ultrà del Torino e della Juve e sentiamo cosa ha da dire la gente. La democrazia è anche questo.



giovedì 5 dicembre 2013

Torino non è una città di passaggio

Volevo chiedervi di restare qui, almeno qui. Le vite che creo, le vite reali con lo sfondo del sole, quello vero, delle nuvole e i marciapiedi, le vite vere fatte di sguardi, strette di mano abbracci e bicchieri di vino, quelle vite mai virtuali che ho cercato di alimentare giorno per giorno in bici o in autobus, in metro o a piedi, quelle vite mi servono. 
Volevo chiedervi di restare, almeno qui. Di non partire perché no, vi siete sbagliati, Torino non è una città di passaggio. Invece ve ne andate anche da qui e ritornate a casa, o andate via dall’Italia e così cambia la geografia sentimentale che abbiamo costruito negli anni, fatica sprecata, gli abbracci che ci servono mediati da uno schermo, il mondo vero ma mediato sempre, e i miei amici diventano foto di profili Facebook e icone di roba varia e diventano irreali, sempre più irreali, lontani, difficili da raggiungere con lo sguardo ed è difficile trovare mani screpolate dal freddo o occhi lucidi per l’influenza. Torino non è una città di passaggio.

Foto di Valeria Taccone

Non emigrate più, scegliete un posto e fermatevi lì, lasciate che la gente si affezioni, trovatevi un bar preferito, un indiano sotto casa, un cinese per le stoviglie, andate a Porta Palazzo a fare la spesa, prendete nota degli spettacoli gratuiti che offre questa città, ma restate. Almeno qui. 

Invece partite tutti militari e le vite vere si sfaldano. Rivivono solo due tre volte all’anno, di ricordi vecchi duemila anni.

Foto di Valeria Taccone

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