sabato 29 maggio 2010

Leggendo le pagine dell’ “Internazionale”

In copertina il titolo “Google salverà i giornali” suonava quasi come un paradosso.
Ho letto l’intero articolo di James Fallows e mi sono resa conto, solo dalle ultimissime righe che questo giornalista statunitense aveva ragione. L’idea che i giornali debbano sopravvivere è fondamentale.
Vittorio Sabadin (vicedirettore della “Stampa” di Torino) ha scritto nel suo saggio (L' ultima copia del «New York Times». Il futuro dei giornali di carta, Donzelli, 2007) che l’ultima copia del “New York Times” sarà stampata nel 2043. Una profezia che secondo molti potrebbe avverarsi ancor prima di questa data.
Insomma, in molti concordano sul futuro breve della carta stampata.
Ma poi leggo l’articolo e mi sento subito rassicurata da questo giornalista americano che su “The Atlantic” scrive che Google aiuterà i giornali a non sparire dalla circolazione. Perché? Semplice.
Google è utile perché la gente lo utilizza come motore di ricerca per trovare informazioni utili. Se non vi fossero informazioni utili, interessanti, precise e aggiornate nessuno lo utilizzerebbe più.
Il motore di ricerca più famoso al mondo è soprattutto attendibile, credibile per le informazioni che mette a disposizione. Nikesh Arora (sovrintendente a tutte le attività di monetizzazione e di gestione dei clienti, nonché al marketing e alle partnership per Google) parla di un rapporto simbiotico profondo tra Google e le fonti di informazione autorevoli. I contenuti sono offerti ma non prodotti da Google. Se i contenuti sono buoni, la gente continuerà a cercarli. Se non lo sono anche Google perderà il suo primato. Per questo il giornalismo sopravviverà.
Serve qualcuno che crei l’informazione. Per questo il giornalismo in generale, le testate cartacee e on line in particolare, continueranno ad esistere.
Google finanzierà i giornali in difficoltà, e questa mi sembra una buona cosa.
Nel nostro paese c’è uno scoglio in più da superare. Eric Schmidt(Presidente del Consiglio di Amministrazione di Google) ha ricordato come la sopravvivenza del giornalismo di qualità sia essenziale per il funzionamento della democrazia moderna. La democrazia esiste nell’informazione americana, ma non in quella italiana (ricordiamo che la Mondadori possiede il 29% del mercato librario e il 38% di quello dei periodici, tanto per dirne una).
Il nostro, dunque, è un caso a parte. Come sempre.

lunedì 17 maggio 2010

INDIGNAZIONE. Io studio Giornalismo e me ne vergogno.

Pensavo che quello stronzo di Curzio Maltese ha scritto sull’inserto “Il Venerdì” di “Repubblica” che Mourinho sarebbe un ottimo leader per la sinistra e mi chiedevo se fosse ironia oppure verità. Nel senso che la sinistra non può sperare di avere come leader un allenatore di una squadra di calcio, sebbene questa abbia vinto lo scudetto.
Il discorso forse è provocatorio o forse no ma io sono profondamente indignata a causa di questo articolo.
Qualche giorno fa riflettevo su una questione. Alle Vetrerie Sciarra, sede distaccata di Lettere e Filosofia della Sapienza, a Roma, ho assistito ad una lezione tenuta da Eugenio Scalfari, noto per essere stato - nel 1976 - fondatore del quotidiano “La Repubblica”. Quando un ragazzo gli ha fatto una domanda, a mio parere sensata e in qualche modo molto arguta del tipo “lei cosa pensa dei tabloid ovvero di tutti quei quotidiani della free press che ogni mattina affollano metro e autobus di questa città e in qualche modo ostacolano la diffusione della stampa storica e di quotidiani come il suo?”, lui ha risposto in un modo stupidissimo, dicendo che non leggeva quei giornali e pertanto il problema non lo riguardava affatto. Insomma, non era affar suo.
E allora ho pensato che un discorso simile è da deficienti, perché non ti puoi permettere di dire che non è affar tuo, tu hai fondato un giornale storico, tu dopo la morte di Pasolini hai capito che la Democrazia Cristiana aveva fatto più danno e più male del Fascismo, tu hai capito che la stampa deve essere libera, oggettiva e imparziale ma non sai rispondere ad una questione attuale come questa, ti trovi in difficoltà di fronte ad un problema reale che ti riguarda. Certo che ti riguarda!
Questi tabloid spuntano come funghi a Roma. Sono finanziati dalla pubblicità, pubblicità a colori peraltro, che fa guadagnare molto di più.
Sono giornali che non dicono niente eppure bastano e avanzano alla gente.
Sono giornali che non si pagano eppure appagano la sete di notizie di chiunque. Appagano anche il senso di colpa di chiunque, se vogliamo. Sono quotidiani creati sulla base del modello liberale statunitense e anglosassone e riportano per la maggior parte notizie di cronaca e gossip. Efficace strategia. Dirottano l’attenzione su qualcosa di inutile.
La cronaca, l’ho sempre pensato, è un settore malato del giornalismo. I racconti della gente servono a qualcosa. Se orali, voglio dire, hanno un senso. I racconti scritti servono un po’ meno. Manca la mimica, l’espressione, i riferimenti diretti al contesto, i riferimenti temporali e spaziali sono vaghi o solo accennati. Un fatto di cronaca o si racconta faccia a faccia, perché hai avuto modo di assistere a quello o quell’altro evento oppure meglio non raccontarlo. Io sono profondamente convinta che un fatto di cronaca raccontato a milioni e milioni di persone abbia il solo effetto di sconvolgerle, scandalizzarle, in qualche modo impaurirle e zittirle. La strategia della tensione e del terrore è cosa vecchia e da sempre serve a governar le masse. Per non parlare delle notizie di intrattenimento. Il gossip come anche gli eventi mondani e gli scandali alla Fabrizio Corona. Il vero problema è che è difficile prendere realmente coscienza della manipolazione cui si è sottoposti.
Milan Kundera insegna che per stordire un popolo servono giochi, canti e balli e alla fine chi concede privilegi di questo tipo avrà la meglio sull’anima di questa gente.
Mi chiedo quando finirà tutto questo, e mi chiedo soprattutto quando riprenderà vita il giornalismo culturale.
Articoli come quelli di Maltese non meritano di essere pubblicati.

venerdì 14 maggio 2010

Idealismo o Pessimismo cosmico?

Se c’è qualcosa che mi lega profondamente al Pasolini di Scritti Corsari è proprio quella resistenza al cambiamento, quell’idealismo eccessivo, quel bisogno di rimanere fermi e vivere sempre l’infanzia, l’adolescenza e quella che sembra essere la parte migliore della maturità.
Lui, che difendeva con una vis polemica impareggiabile un mondo scomparso a causa dello Sviluppo (così diverso dal Progresso), doveva fare i conti con tutti quegli “spietati” (giusto per citare i Baustelle) che invece quel mondo nemmeno se lo ricordavano oppure non ne sentivano poi tanto la mancanza.
È strano che proprio le persone che mi circondano mi rimproverino la stessa cosa che i lettori del “Corriere” rimproveravano a Pasolini. Il fatto di rimanere ancorati al passato e non accettare il cambiamento.
Quei contadini del mondo preindustriale dei quali parlava l’intellettuale bolognese si servivano di beni necessari, e questo bastava a rendere necessaria la loro vita. Adesso ci si “nutre” di beni superflui, motivo per cui la vita stessa è diventata superflua.
La teoria del “lasciamo perdere” o del “forse andrà male; in ogni caso meglio non rischiare” e cose così rientra in questo mio discorso. In fondo l’attitudine al non rischio, per prevenire le conseguenze nefaste di una qualsiasi azione è sempre stato un tratto caratteriale diffuso, per quanto ristretto ad una tipologia di persone pensate singolarmente. Oggi, invece, questa attitudine è diventata un tratto sociale.
Quella crisi che fa ormai parte integrante di questo periodo storico ha scalfito le coscienze e i caratteri sociali, determinando un impoverimento profondo dell’interiorità di un essere umano. I rapporti si sono trasformati e formalizzati e un’ondata di indifferenza, flessibilità e refrattarietà al male si è abbattuta sulle nostre coscienze fino a decretarne l’assopimento.
Non sono in molti ad accorgersi di quel tratto che oggi caratterizza questa mia generazione. Sto parlando della paura, e della totale mancanza di direttive, del vuoto cosmico che si è insediato tra noi e il mondo, di quella mancanza di obiettivi e di istruzioni che possano indicarci quale strada imboccare. Io vedo un’ansia malsana nelle persone che mi circondano, e una confusione prepotente riguardo il futuro. Ci si stanca perfino a pensarci, al futuro.

lunedì 3 maggio 2010

Sedie di paglia - Cappello a cilindro

Di nascosto il vento stava portando via i resti di una festa estiva
la banda risuonava ancora, quasi potevi andare a tempo di grancassa
qui un semplice via vai, di quelli che t'immagini, fatti di amori in gabbia
qui a non cercare guai, a chiedere alla notte di esser notte quanto basta

Di nascosto il vento stava rubando foglie ai rami e rami ai marciapiedi
qualcuno ragionava urlando seduto sopra sedie di vecchia paglia e tarli,
lei con i suoi colpi di tosse amava ogni suo uomo ogni volta e non più di quanto l'odiasse
lei teneva in mano una foto a mo' di porta fortuna ma non sembrava capisse che...

Non era una notte qualunque
cielo gonfio di stelle, tipico di Settembre
Ma non era una notte qualunque
sfumature d'Oriente, sfumature

Di nascosto il vento stava portando via i resti di una festa estiva
la banda e il suo corteo nell'aria, potevi camminare a tempo di grancassa
lei non ricordava chi fosse e amava ogni suo uomo ogni volta e non più di quanto l'odiasse,
lei con la sua foto ricordo, a mo' di porta fortuna, forse credeva alle stelle

Non era una notte qualunque
cielo gonfio di stelle, tipico di Settembre
Ma non era una notte qualunque
sfumature d'Oriente, sfumature

domenica 2 maggio 2010

IoAlice

È arrivato Rimbaud a soccorrerla, ed Alice è felice di rimembrare fiori malvagi, pasticcini vegetali e allegria dei sensi; un tempo, quale compiacimento scaturiva dalla lettura di altri mondi, di altre vie, quando l’onnipotenza pervadeva i nervi e, quando, nel tempo vergine dell’adolescenza, seguendo i passi della Ma Bohème, lei stessa se ne andava con i pugni nelle tasche sfondate, sotto il cielo, e il sogno di amori preziosi le sfiorava la testa laccata!

ALICE

Alice alita forte sullo specchio, facendosi luce tra le lacrime, arricciando il naso per il dolore.
Le piacerebbe baloccarsi, folleggiare, gingillarsi al ritmo di una bossanova, come tutti i venerdì sera, riempire il bicchiere di vino rosso, anche un Negroamaro andrebbe bene; e bere, sentirsi osservata, sentire i complimenti dei clienti del Solitario, «sei adorabile quando canti», oppure «che voce!», e le piacerebbe averlo a fianco quel paroliere decadente, sentire le sue labbra bisbigliarle frasi balorde all’orecchio con tanto di tocco di lingua finale, sentirlo starnutire, quel devoto figlio di Satana, quell’imberbe ingrato, quel Dorian prepotente, il menestrello che adesso le regala singhiozzi spezzati e occhi rossopeperoncino.
Ecco, eccola la scritta. Enidutiba?
Al contrario.

VITERBO (San Pellegrino)

Che gioia si prova a percorrere
le tue strade
grigie, umide, antiche.
Città vecchia,
che aria mi fai respirare,
che freddo mi fai sentire!

L’acqua delle fontane è potabile.
Piazza San Pellegrino è un buon luogo per scrivere.

I tuoi archi,
le tue pietre,
le tue viuzze che ingoiano i passanti,
stridono con l’orrore
dell’altra tua faccia,
stridono con l’obbrobrio
di palazzi moderni
che vanno sorgendo in ogni dove
a deturpare
il tuo gelido calore.

Quartiere dei sogni.

Senti la luna cantare
se porgi l’orecchio!
Camminando
senti che il silenzio
ti protegge,
che i passanti,
passando,
non fanno rumore.

Città degli ossimori,
chi ti vede per la prima volta
si innamora.

Bella,
ballano le pietre tonde,
mentre tu,
austera,
ordinata,
pulita,
severa,
ti chiudi
tra mura di protezione
che non servono più.
Il progresso,
inevitabile,
non mi fa più venire tanta voglia
di amarti,
di scrivere di te.

Meglio non andare all’università,
evitare di vedere la tua seconda metà,
quella giovane
ridente
maligna
emancipata;
meglio non scoprire l’altra parte di te.
Meglio mangiare pappardelle al cinghiale
in una taverna
che ti avvolge di pietra;
pietra,
non cemento.

SAN LORENZO

Strade di luci calde,
sorrisi che si incrociano all’ingresso del bar,
simpatico tabaccaio,
i pastelli nuovi,
negozio dell’usato, caffè ,
momenti di pausa solitaria,
un signore davanti il GS,
supermercati pullulano di ragazzi sorridenti,
spagnoli, cinesi, inglesi.

Città, micro-città, esperimento del mondo,
città crogiuolo di facce serene,
prendimi e trascinami,
sorridi sempre,
inventami giorni di sole,
non ci provare
ad incenerire
le mie passioni.
Non ci provare.

Saltatempo

Il prato di margherite,
l’odore del 2001,
il primo bacio,
gli amori giovani.

Il mare che accompagna sempre.
Il suono delle onde è il mio orobilogio
e scandisce passi incerti verso la città.
Ma non sono sicura di volerlo sempre con me
questo mare:
mi rende così dipendente e malinconica-
E senza
avrei qualche ruga in meno.

Notte

Odio la notte
Perché costringe a stare ad occhi chiusi;
costringe a sopportare il peso
di palpebre buie;
perché con i sogni si muore un po’.

Le notti sarebbero migliori
ad occhi aperti.

Lettera


Caro fantomatico amore,volevo dirti che io sono qui.
Apri gli occhi, spalancali un po’ di più questi stupidi occhi.
Mi ritrovo davanti ad una bottiglia di vino bianco, a casa, in giardino, da sola, a riflettere su questo mondo che mi circonda, che ci circonda.
Volevo invitarti a sprecarla un po’ meno questa vita, a ragionare un po’ meno sulle cose, a lasciarti andare un po’ di più. Io mi prenderò una pausa da me stessa in questi giorni di inizio settembre, vedrò di essere più calma, più cauta; vedrò di agire meno, ecco. Ma tu guardami cazzo! Voltati e guardami!
La mia amica mi ha detto che c’è appena stato il terremoto. Qualcosa si muove.
Adesso le luci delle case crepano insieme alle luci delle mie pupille. Tra un po’ questi occhi mi si spegneranno, ed è colpa tua che mi dici che ho un seno bellissimo e poi non fai nulla per toccarlo di nuovo, non fai nulla per rivederlo e sentirne l’odore.
Mi guardi per un attimo, dalla cima della scala, mi fissi per bene, e mi piace; ti ingoio con i miei di occhi, cerco di fottertelo questo cuore mangiato che ti rimane, ma non succede niente, dopo dieci minuti sei fuori da casa mia e non ci pensi più a me, non ti interessa più, rapito come sei dagli impegni. Ne ho conosciuti tanti come te, sai? Ne ho visti tanti. Dicono di essere stronzi, come hai detto tu. Tu, che non ti fidi della gente. Tu che mi fai paura. Tu che hai sofferto tanto, dici. Anch’io sai? Ho visto cose tristi. Mi hanno vista mentre distruggevo tavoli, mentre gettavo sedie per aria; mi hanno vista urlare, piangere di rabbia, morire. E non mi sono arresa, sai? E non ho nemmeno detto basta. Ho salutato con gentilezza i perdenti che mi avevano fatto male, mi sono alzata di nuovo in piedi e ho preso la vita a morsi, l’ho ingoiata. Ed ora eccomi qui; mai digerita questa vita.

Nessuno scudo, ad ogni modo, non serve. O forse serve, ma solo a vivere a metà.
Te le dico con gli occhi le cose, e non capisci. Te le scrivo le cose, e non capisci. Ti faccio vedere Colazione da Tiffany, la parte più significativa di quello stupido film; tu la guardi e sorridi. Tutto quello che sai dirmi è “hai ragione”. Certo che ho ragione!
Tu non vuoi costruire niente nella tua vita. Io ti parlo di cose meravigliose. Io mi infervoro quando ti parlo di Bauman o di Pasolini. Io mi commuovo quando leggo Bilal di Fabrizio Gatti, mi commuovo anche quando guardo Notorious. Io certe cose me le sento dentro, me le vivo per intero, le assorbo goccia per goccia. Tu, niente, non guardi, non ascolti, non vuoi, hai paura, e ne hai troppa.
Io questo terremoto non lo sento e tutti me lo chiedono e me lo richiedono. Non l’ho sentito il terremoto! Dov’è questo terremoto?

Sei ingiusto. E non lo so perché mi fotografavi di prima mattina prima di andare a lavoro, non lo so perché mi hai detto di guardarti di nuovo in quel modo; e non so nemmeno perché il caffè l’hai fatto tu ieri mattina. Eri mio ospite, dovevo farlo io quel caffè! Nessuna illusione tesoro, non ne voglio più di illusioni. Mi hai parlato della tua vita, mi hai stancato con i tuoi discorsi da tossico.
Però hai fatto una cosa meravigliosa, mio fantomatico amore. Mi hai fatto fare il più bel giro in bici della mia vita, in piedi sul portapacchi, di notte, hai guidato senza mani, senza freni, mi hai fatto ridere, mi hai fatto bene. Per questo ti ringrazio. Ora, per favore, lasciami stare, dimmi che non sono all’altezza, dimmi che non vuoi nessun impegno, dimmi che non mi amerai mai, dimmi che l’amore dei film di Hitchcock non esiste, dimmi che è una gran cazzata, dimmi che si vive solo di lavoro, sesso e cibo. Io ti crederò, ti crederò immediatamente, ti bacerò e ti lascerò andare.

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