giovedì 31 gennaio 2013

'La migliore offerta' di Giuseppe Tornatore

"Il dramma è la vita con le parti noiose tagliate". (A. Hitchcock)

Una delle caratteristiche principali di una buona sceneggiatura è la presenza, all’interno di essa, di un tassello apparentemente insignificante, che alla fine risolve la storia, la scioglie. Una storia è completa e raccontata bene nel momento in cui dimentichiamo quel particolare che servirà alla risoluzione. In pratica, grazie a questa sorta di deus ex machina, lo spettatore riesce a capire se i vari tasselli formano un puzzle perfetto o se è costretto a forzare dei pezzi.  
Nel film di Tornatore questo 'tassello apparentemente insignificante' non c’è. La solennità e la magnificenza del film cozzano con la povertà assoluta della narrazione. Eccezion fatta per la splendida e 'sprecata' interpretazione di Geoffrey Rush, per la scenografia e le musiche di Ennio Morricone, il film è una vera delusione. 
Durante la conferenza stampa tenutasi negli studi Rai di Palermo il 3 gennaio, Tornatore spiega che ‘La migliore offerta’ nasce dall’intreccio di due storie. La prima, pensata nel 1984, aveva come protagonista una ragazza agorafobica e l’altra un battitore d’aste. Il regista sostiene di aver trovato, nel tempo, il modo per intrecciarle e unificarle.
Questo spiega la difficoltà nella narrazione e le forzature del film. Claire, se all’inizio sembra un fantasma problematico, ci appare poi solo come una bambina capricciosa e viziata. Lo spettatore si chiede cosa spinga il signor Oldman a perdere tempo con lei. Forse la sua bellezza e il mistero che emana. Ma sarebbe una spiegazione riduttiva e poco credibile.
Il tema dell’agorafobia non è affatto funzionale allo sviluppo del film. Al contrario, tutto il resto viene asservito a questo tema che Tornatore voleva per forza trattare. Il protagonista viene picchiato dai ragazzi del bar perché Claire possa correre da lui e dimostrare di aver sconfitto la malattia. 
Paradossalmente, se l’azione fosse stata motivata da un interesse economico del signor Oldman, da un suo interesse viscerale per le opere d’arte e dall’eccitazione per aver scoperto un casale con un mucchio di opere d’arte antica, la storia avrebbe avuto più senso. Ma l’unione di queste due figure, l’agorafobica e il battitore d’asta, risulta forzata e poco credibile. 
Cosa interessava a Tornatore? La storia d’amore? Le aste? Le opere d’arte? 
Se Tornatore non avesse adottato come unico punto di vista quello del protagonista, e avesse comunicato preventivamente agli spettatori le intenzioni di Claire, forse l’avrebbe appassionato di più alla sua storia. Lo spettatore avrebbe preso le parti di Oldman prima della fine del film, e si sarebbe sentito parte della sua vita. Ma, fino alla fine, si è costretti a percepire tutto con il massimo distacco, non si parteggia per nessuno, non si prendono le difese di nessun personaggio. Non è una storia pensata per lo spettatore, oltre ad essere piena di tempi morti e figure poco definite e funzionali. 
Fino alla fine, la storia rimane la storia di un altro. E l’amore, rimane puro piacere estetico.




sabato 26 gennaio 2013

Perché preferiamo Dexter al Papa



Il nostro è un periodo storico in cui l’etica cristiana è completamente superata, in cui quello che manca, all’interno della società, non è il concetto di bene, ma quello di giustizia. Non sappiamo che farcene di preti che predicano bene e razzolano male, del Vaticano che possiede immobili e oro, e nel frattempo parla di carità. Non sappiamo che farcene degli insegnamenti della chiesa. È un concetto più alto quello che ci interessa: quello della giustizia.

Il governo nazionale e i singoli poteri locali hanno cercato di inserire la giustizia e la difesa dei cittadini in cima alla lista degli impegni e delle promesse da mantenere, hanno tentato di farsi portavoce di questa esigenza collettiva. Ma non ci sono riusciti e non ci riusciranno mai, se non infrangendo la legge.
La nostra paura dell’‘altro’ si traduce sempre di più in una crescente ritirata dallo spazio sociale. 
Abbiamo bisogno di essere difesi da qualcuno, da sempre. Ora più che mai. 
Sappiamo perfettamente cosa è il bene e cosa il male. Vogliamo solo che il bene venga realizzato e il male eliminato.
Per questo abbiamo sempre avuto bisogno di eroi. 

Di questi tempi, un eroe - ben diverso da quelli classici - riempie le giornate di molte persone: è Dexter
Un successo da non crederci.
Dexter è un serial killer ‘buono’, un giustiziere dalla mente contorta, un personaggio che non convince fino in fondo, di cui però non riusciamo a fare a meno. Una volta entrato nella nostra vita, deve rimanerci. Perché ci serve.
Nonostante sia un serial killer, dunque quanto di più ripugnante possa esistere nell’immaginario collettivo,  è un personaggio positivo. Anche Dexter ha un suo codice, dei comandamenti impartiti dal padre Harry nel corso della sua vita, delle regole che hanno il solo scopo di incanalare i suoi impulsi omicidi soltanto verso chi se li merita, ovvero i criminali.

Perché anche i ‘buoni’ amano Dexter? 
Probabilmente perché hanno bisogno - almeno nella finzione - che il mondo vada per il verso giusto, che quello che gli hanno insegnato genitori, preti e maestri, trovi una realizzazione concreta, trovi la sua applicazione almeno in una delle realtà possibili, seppur fittizia.

La gente ha estromesso ogni valore ‘reale’ dalla propria vita - dove per valore reale si intende un qualsiasi valore suggerito da personaggi reali - per fare spazio al fantastico mondo dell’ ‘etica irreale’. La politica e la religione non ci interessano più da quando abbiamo avuto la prova che ciò che accade all’interno di questi due mondi è solo finzione. Finzione, non meno di quanto possa esserlo una serie televisiva.