Sono 300 milioni nel mondo le
persone che hanno sofferto almeno una volta di disturbi depressivi. Le donne
adulte sono il doppio degli uomini. I bambini no, i bambini sono depressi
uguali, maschi e femmine. Questo il dato evidenziato dalla psicoterapeuta
Morelli nel podcast Sigmund del Post. Cos’hanno le donne che non va, mi
chiedo?
Il carico emotivo ed emozionale,
il carico cognitivo, gestionale e logistico.
Quali i sintomi? Tristezza, la
perdita di memoria, un basso livello di concentrazione, rallentamento
psicomotorio, affaticamento, mal di testa, disturbi gastro intestinali. E la
rabbia. La rabbia è un’emozione importante, mi sembra mi caratterizzi da quando
ho compiuto 10 anni. Prima c’era una parità di disagio tra bambini, prima dei
10 anni non ci si imbarazzava per niente, non ci si autosvalutava, non esistevano
problemi di autostima, il senso di colpa non era un macigno che pesava tanto e
i dolori emotivi non arrivavano ancora da tutte le parti.
Non siamo deboli se assumiamo
psicofarmaci. Oggi nessuno basta più a sé stesso.
Noi della generazione degli anni
80 abbiamo un trauma che non accomuna tutte le altre generazioni: l’aspettativa,
un’aspettativa violenta che riguarda noi
e i nostri possibili fallimenti. Un’eccessiva aspettativa da parte dei nostri
genitori, un ipervalutazione e un iperinvestimento su di noi che alla fine non
siamo poi così speciali.
Avevo già scritto in passato di
questo tema ma non l’avevo collegato alla depressione. Invece questa sembra la sua
più evidente causa.
Il tratto che caratterizza un
giovane della mia generazione che poi in alcuni casi sviluppa questa patologia
è quello del narcisismo. La ‘generazione Narciso’ è quella che non può sbagliare,
che non accetta il fallimento e corre ai ripari proteggendosi per non
sviluppare ansia, ipocondria e depressione.
La struttura narcisistica ci
protegge da un potenziale fallimento che potrebbe essere fatale, dalle critiche
che evitiamo attraverso post in cui giustifichiamo chi siamo, cosa facciamo e
cosa mangiamo cosicché nessuno possa considerarci dei falliti.
Il fallimento però fa parte della
storia evolutiva e pedagogica dell’essere umano e rifiutarlo è pericoloso per
la nostra mente oltre che per il nostro corpo. Sono bastati 20 like per dormire
sereno, è bastato scrivere su Linkedin che sono diventato account manager e
ricevere i complimenti di tre o quattro persone per dare un senso alla mia
giornata, è bastata una vendita in cui ho fatto leva sui punti deboli dei miei
clienti, una foto in cui cito Proust o semplicemente lo sfoggio di qualche mia
abilità fosse anche usare bene Instagram.
Nessuna condanna, non scrivo
questo post per puntare il dito contro
qualcuno. Semplicemente dobbiamo esserne consapevoli, perdonare le nostre bugie,
le nostre cadute, il nostro non arrivare mai.