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domenica 6 giugno 2010

Il ciclo è sempre una buona scusa

Il display dentro la macchina segnava addirittura 25 gradi. C’era caldo, un caldo umido appiccicoso fastidioso.
Ho visto un film crudele stasera e mi sono commossa.
Il film è La nostra vita.
Senti il bisogno di maternità dopo aver visto questo film. Quei bambini. 
Devo andarmene, devo sparire. Voi con i vostri impegni e i vostri appuntamenti. Dove dovete andare? Fermatevi. La strada è quella lì, la più tortuosa.
Svegliatevi, quest’accidia scrollatevela di dosso, questa noia, queste mostre, queste visite guidate, questo desiderio di spostarvi sempre, in continuazione, di vedere il mondo per forza, per intero, a tutti i costi! Statevi fermi, pensateci un attimo.
Prima di guardare troppo lontano, -che l’insicurezza vi protegga!, volgete lo sguardo proprio sotto gli occhi, comprendete questi occhi che supplicano, un sorriso, un abbraccio, una carezza, un amore, state fermi, non andate così lontano, non c’è mica dove andare! Adesso non avete proprio dove andare.
Non si passa, i debiti non si saldano, disoccupati perenni, volti vuoti e inespressivi, state lì. Questi figli li dovete volere. Questi figli che prima erano una festa e ora sono un lutto. Sono gioia, miracolo. Proteggeteli con i vostri sorrisi, rincorrete l’impossibile, andate controvento finché potete, fatelo per voi stessi, scegliete i loro occhi e proteggeteli. Portateli a mare, non girovagate a vuoto, scegliete qualcuno, state sereni, vogliatevi bene.
Davvero non li volete questi figli? Davvero? Io li vorrei almeno sentire tra le braccia, vorrei dare un senso a tutto questo. Allora forse potrei andarmene da qui. Partire, lontano.

Il carillon suona ogni tanto. Quando meno me lo aspetto inizia a suonare, e io salto in aria.

E tu ascolti la tua musica, e pensi. Ti fai la doccia, e pensi. Metti su la caffettiera, pensi. Indossi i jeans con le toppe a farfalla, pensi. Esci da casa, pensi. Alla fermata della metro, pensi. A lavoro, sguardo perso, pensi. Parli con quei due, quelli nuovi. Ridi con loro, pensi. Mangi e ricordi.

Io ricordo.
Mangi cibo di merda ora, non ti va tanto di cucinare. Ma che mangi? Nemmeno a me va di cucinare. Tu cosa mangi? Vorrei saperlo. Ti piace ancora il gelato al cioccolato bianco? Che fai? Pensi. Sguardo opaco, pensi.
Io lo so a cosa pensi. Anch’io.

Amore mio, questa è la generazione dell’OKI, quella che si droga di Novalgina e Aulin. Nessuno può farci niente.
Tutti perduti nel dramma delle medicine, dell’Amuchina, della disoccupazione.
Ma tu non preoccuparti, andrà tutto bene.

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