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mercoledì 14 luglio 2010

Lettera al Presidente del Consiglio

Palermo, 14 luglio 2010-07-14

Caro Presidente,
la persona che scrive si chiama Laura, ha ventiquattro anni ed è nata a Palermo. Studia Giornalismo alla Facoltà di Lettere della Sapienza e vive a Roma stabilmente da un anno e mezzo grazie ai cinquecento euro mensili sborsati da mamma e papà.
La persona che scrive, oggi ha acceso la televisione e ha seguito un filmato del tg3 che le ha fatto venire il mal di stomaco. La questione degli immigrati provenienti dall’Eritrea.
Questi eritrei, appena arrivati in Sicilia, appena scampato il pericolo di morte, con i denti scintillanti e gli occhi pieni di luce per la gioia di esser sopravvissuti al tragitto in mare, sono stati rispediti in Libia.
Questi eritrei, signor Presidente, non erano arrivati in Italia perché volevano ‘fotterci’ il lavoro o cose così. Questi sporchi eritrei chiedevano asilo politico. Non so se Lei è al corrente della situazione politica del loro paese di provenienza.
So solo che Lei li ha rispediti in Africa. Anzi, Lei non li ha solo rispediti in Africa. Li ha rispediti in Libia, un paese che non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra e che quindi non riconosce i richiedenti asilo. Un paese dove si pratica ancora la tortura e le condizioni delle carceri sono spaventose.
Lei non solo, dopo il patto stipulato con Gheddafi, ha eliminato il fenomeno dell’immigrazione clandestina, ma ha anche legalizzato la tortura per persone innocenti.
Allora mi è venuta voglia di consigliarle qualche libro: innanzitutto Come un uomo sulla terra (al quale è allegato anche un dvd molto interessante) della Infinito Edizioni (2008). Ma anche Bilal di Fabrizio Gatti ( Rizzoli, 2008) e, perché no, anche A sud di Lampedusa di Stefano Liberti(Minimum Fax, 2008) e I fantasmi di Portopalo di Bellu (Mondadori, 2004). Vede, pensavo che Lei, avendo a disposizione l’intera Mondadori sarebbe stato contento ricevere un consiglio su quale libro leggere tra tutti quelli che pubblica.
Insomma signor Presidente, Lei ha case editrici, giornali e televisioni ma – mi dicevo guardando quel filmato – è estremamente povero.
Lei nell’agosto 2008 ha firmato un “trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” con Gheddafi.
Nell’ottobre del 2007 ENI e NOC, la società petrolifera dello stato libico, hanno siglato un accordo per lo sviluppo della produzione del gas in Libia per ventotto miliardi di dollari in dieci anni. La mia amica di Gela nemmeno lo sapeva che la sua città è collegata a Mellitah (città della Libia) da un gasdotto sottomarino di 520 chilometri! Ma è collegata a Mellitah anche da una miriade di cadaveri di africani che non ce l’hanno fatta ad arrivare salvi a casa nostra.

Lei, caro Presidente, ha fatto spedire oltremare motovedette, fuoristrada e sacchi da morto, insieme ai soldi necessari per pagare i voli di rimpatrio e tre campi di detenzione (più appropriatamente centri di tortura). So bene che già nel 2007 Giuliano Amato aveva fatto la stessa cosa.

Poi pensavo che in fin dei conti oggi nessuno vuol più fare il lavoro che fanno gli immigrati nel nostro paese. Nessuno. Loro in qualche modo ci salvano. Salvano la nostra economia.
Noi non vogliamo fare le badanti o le collaboratrici domestiche. Noi non vogliamo lavorare nei campi.
E lo sa perché, signor Presidente? Per colpa sua.
Lei, con le sue televisioni, ha cambiato un popolo, un’intera società. Lei è riuscito a mutare antropologicamente gli italiani con le sue immagini.
Nessun ragazzo che non voglia iscriversi all’università penserebbe oggi di andare a zappare la terra o raccogliere pomodori. Perché nessun ragazzo di diciotto anni della televisione lo fa. E nessuna ragazza senza cultura e senza attestati di alcun tipo sognerebbe di fare la collaboratrice domestica perché non esiste questa figura in tv. O, se esiste, esiste in Beautiful o nella Tata, che però non sono telefilm italiani. Al massimo quella ragazza, se ha un bel paio di tette, penserà di fare carriera come escort.

La persona che scrive ha ventiquattro anni ed è ambiziosa. Ambiziosa come Lei, signor Presidente.
Lo sa che i miei professori fanno lezione in giardino per protestare contro i tagli e i licenziamenti? Lo sa che fanno gli esami di notte?

La crisi, signor Presidente. La crisi. Cosa ci possiamo fare se c’è la crisi? Lei ha ragione, non si possono fare miracoli. Lei non è mica Roosevelt!
Lei però una cosa la può fare, signor Presidente. Mi ascolti bene. Lei dovrebbe almeno consentirci di lamentarci e di opporci e di protestare, e di urlare. Non ci provi nemmeno ad imbavagliarci.
E poi dovrebbe rileggere qualche articolo della Costituzione italiana.
Le lascio i compiti per casa, insomma. Pochi, non tantissimi. Legga solo questi articoli.

Art. 4 - La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 9 - La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.  Art. 10 - La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.  Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.  Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. 

Per adesso potrebbe provare a imparare questi quattro. Poi passeremo agli altri.

martedì 8 giugno 2010

Come un uomo sulla terra

Stamattina mi sono svegliata presto per andare a lezione. L’ultima lezione, credo, della mia carriera universitaria.
Questa lezione ha avuto un significato molto particolare. C’era un ospite in aula. Un ospite importante, invitato dal professore di Giornalismo d’inchiesta Pietro Veronese (“La Repubblica”).

In aula c’era Dagmawi Yimer, un ragazzo etiope sbarcato in Italia dopo un lungo viaggio.
Dagmawi studiava giurisprudenza ad Addis Abeba ed è fuggito in Italia per via della difficile situazione nel suo paese d’origine.

Negli anni ’80 e ’90 in Etiopia c’era la dittatura dei ‘militari rossi’ di Menghistu Haile Mariam, poi sostituita da un governo neoliberale.
Oggi il potere autarchico e repressivo del governo di Melles Zenawi spegne ogni speranza di rinnovamento civile in Etiopia. Attualmente quasi tutti i leader dell'opposizione sono incarcerati o dispersi.
Questa premessa serve a comprendere le ragioni della partenza di Dagmawi.
Lui, che non ha potuto salutare i suoi genitori perché non gli avrebbero permesso di andarsene. Lui che ha attraversato il deserto a bordo di un pick up in condizioni di degrado estremo, stipato insieme a decine e decine di persone. Lui che, arrivato in Italia, ha incontrato Frattini ad una conferenza sui rapporti tra Italia e Libia e non gli ha nemmeno sputato in faccia. Lui che è stato venduto alla polizia libica per trenta denari. Lui che ha avuto il coraggio di raccontare.

Parlava piano, lentamente e a bassa voce. Era dolce, ascoltava le domande e rispondeva, parlava bene l’italiano, aveva gli occhi lucidi e un garbo da far invidia.
In pochi forse sanno (dato che la notizia è stata non dico occultata ma trattata come minore) che nell’agosto 2008 Berlusconi e Gheddafi hanno firmato un “trattato di amicizia, partenariato e cooperazione”.
Nell’ottobre del 2007 ENI e NOC, la società petrolifera dello stato libico, hanno siglato un accordo per lo sviluppo della produzione del gas in Libia per ventotto miliardi di dollari in dieci anni.
Già nel dicembre del 2007 un Protocollo di collaborazione tra il nostro paese e la Libia era stato sottoscritto dall’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato. La prassi illegittima del rinvio forzato è stata legalizzata.
Berlusconi, pur di togliersi dal cazzo questi immigrati, decide di spedire oltremare motovedette, fuoristrada e sacchi da morto (e non è uno scherzo), insieme ai soldi necessari per pagare i voli di rimpatrio e tre campi di detenzione (veri e propri centri di tortura).

La polizia libica è forse la peggiore di tutto il pianeta.
Mentre il Presidente firma gli accordi per il gas con Gheddafi, migliaia di africani vengono torturati nei campi di detenzione costruiti con i nostri soldi. Picchiano la gente etiope solo perché non è araba. Stuprano le loro mogli, li mettono in una stanza, ammassati come le bestie. Loro non possono nemmeno dormire per quanto stanno stretti. Fanno i turni.
Le peggiori torture le subiscono nel Centro di detenzione di Kufra.
Ricordatevelo. Kufra.
Non solo lo stato libico ricorre ancora alla pena di morte, ma è ancora molto diffusa la pratica della tortura, soprattutto nelle carceri (incatenamento a un muro per ore, percosse con bastoni di legno, scariche elettriche, succo di limone nelle ferite aperte, avvitamento di cavatappi alla schiena, fratture delle dita, soffocamento provocato con buste di plastica, privazione del sonno, di cibo e acqua).

Cioè, mentre Berlusconi si fa i lifting e le sue porcate a Villa Certosa, mentre la Gelmini riduce i programmi, le ore di lezione e fa discriminazione tra bambini italiani e stranieri, mentre Alfano vuol far passare il lodo più anticostituzionale della storia, mentre si inneggia Mussolini, mentre la libertà di stampa è abolita e le intercettazioni diventano motivo di multe salatissime per giornalisti ed editori, mentre la crisi flagella statali e non, mentre migliaia di giovani pagano un affitto di cinquecento euro al mese per una singola nella capitale, mentre si studia per niente, mentre le province vengono ridotte e per le donne l’età pensionabile viene fissata vent’anni dopo la menopausa, nel frattempo, alla Sapienza, alle otto e mezza del mattino, devo pure commuovermi insieme a Dagmawi perché è stato picchiato, derubato e umiliato, detenuto nei centri africani fatti costruire con i nostri soldi!

Ecco. Ecco cosa siamo.

Lui non reagisce, a me viene solo da piangere. E lo guardo, e mi sembra forte; anzi fortissimo.

Sorride quando un italiano lo guarda. Non ha pregiudizi nei nostri confronti. Va in giro per le scuole e le università. E io mi vergogno del mio paese, e non riesco a dire nulla. Rimango muta, con lo sguardo incredulo.
Lui sorride e dice che proprio oggi ha saputo che un poliziotto libico ha violentato una ragazza di ventidue anni. Lui la conosce. Oggi è un po’ triste per questo.
«Io non posso fare niente», dice. E poi dice: «non è Berlusconi, non è solo lui il problema. La sinistra ci ha trattati allo stesso modo. La destra e la sinistra sono uguali». Lui lo sa questo.

Lui lo sa. E non guarda la nostra tv, non legge i nostri giornali. Eppure lo sa. Lui l’ha provato sulla sua pelle.





Dagmawi ha realizzato il documentario
COME UN UOMO SULLA TERRA

Prefazione di Ascanio Celestini. Con il patrocinio di Amnesty International.
il film di Andrea Segre, Riccardo Biadene e Dagmawi Yimer, con un libro dell’Archivio delle Memorie Migranti a cura di Marco Carsetti e Alessandro Triulzi

Autori: Riccardo Biadene, Marco Carsetti, Andrea Segre, Alessandro Triulzi, Dagmawi Yimer



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