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lunedì 8 maggio 2023

Resto a guardare

 

Una ragazza peruviana di nome Charita mi dice che il suo lavoro è complesso. Ho preso in mano la sua carta d’identità per guardare la sua scheda cliente. L’ho guardata con sguardo perplesso.

Sono io, mi dice

Non sembra, sembri diversa.

Lo so, ho perso 13 chili.

È costretta ad avere a che fare con uno dei più importanti imprenditori di Torino, fino a qualche tempo fa candidato alle elezioni comunali, e con suo fratello, uomo tirchio e frustrato che la rimprovera perché troppo grassa. Lui non è certo un figurino peraltro ma si ostina a controllare gli scontrini e la dispensa dicendo che la spesa che fa per lei e i genitori di lui è troppo calorica. I genitori non hanno il diabete, non soffrono di nessuna patologia ma, nonostante questo, l’uomo tirchio sostiene debbano rimanere a stecchetto.

Marilou invece è fortunata, è una ragazza filippina di un’età indefinibile, con una risata isterica, finta e un fare eccessivamente gentile, sempre compiacente e con la risposta pronta. Marilou sta bene, ha la casa piena di regali, mi dice. Lavora tre o quattro ore al giorno a casa della sua “padrona” e porta il cane fuori almeno due volte al giorno. Cucina per cena e sostiene di fare un lavoro creativo perché ogni sera sceglie un menu diverso per i “padroni”. Guadagna 1000 euro in busta paga più 600 euro in nero perché altrimenti i "padroni" devono pagare troppi contributi Inps. Sullo screensaver del telefono ha la foto di un barboncino bianco che mi confessa essere la sua vita. Il marito non è a Torino ma la sorella sta per raggiungerla. Verrà anche lei a lavorare per la "padrona" perché la "padrona" ha tante case, una in Corso Massimo d’Azeglio, una in Liguria e due in montagna. Ha bisogno, la "padrona".

Editha ha quattro figli, due naturali grandi e due acquisiti, piccolini. I due naturali sono nelle Filippine, i piccoli sono a Torino e sono cresciuti con lei. I genitori sono due famosi medici di Torino e il loro onorario è di 300 euro a visita. Profumano di Vetril e ammorbidente e parlano un italiano insolito con la ‘s’ di pezza. Sono felici, biondi e con gli occhi azzurri, vorrebbero partire con Editha e vedere quel paese tanto idealizzato in cui vivono i fratellastri mai visti. I veri genitori sono contrari, farli partire per le Filippine significherebbe rinunciare definitivamente alla loro paternità e maternità e questo è tassativamente escluso. Editha ha il cellulare pieno di foto e video ricordo dei loro primi passi, le prime parole e le prime feste. Editha è ridiventata mamma dopo 15 anni, ha vissuto due vite in una perché è pagata per fare la madre di due figli non suoi, pulire casa, preparare la cena. Stasera preparerà cotolette alla milanese, patatine fritte e verdure miste. Sorride sempre, come fosse un tic perfezionato negli anni.


Da quando sono al mondo non ho mai visto un gap culturale così ampio, non ho mai visto una voragine tale da dividere ricchi e poveri in modo tanto feroce. Ed ascoltare entrambe le voci è terribilmente inquietante perché i ricchi mi parlano della difficoltà di effettuare la ristrutturazione della quinta casa per gli ospiti in quanto è difficilissimo trovare il materiale per i lavori per via della guerra e i muratori temporeggiano troppo. Invece c'è una marea di gente che raccoglie la roba dall'immondizia e si accontenta di vivere lontano dai figli pur di portare il pane a casa. I "poveri" non hanno soldi sul conto e chiedono finanziamenti senza possedere una busta paga dignitosa, con dieci ore settimanali dichiarate e tutto il resto in nero. 

Il ceto medio si è improvvisamente impoverito e si indebita per sopravvivere. Il ceto medio è adesso composto da poveri. I ricchi invece sono diventati ancora più ricchi, i medici hanno scoperto che il servizio sanitario nazionale non funziona e hanno iniziato a farsi pagare le visite specialistiche private fior di quattrini. Ho scoperto che solo i filippini che lavorano per loro hanno diritto ad un trattamento di favore e possono pagare le visite meno degli altri pazienti.

Esiste un divario enorme tra ricchi e poveri oggi, almeno alle Poste e, nel mio piccolo osservatorio privilegiato, vorrei cambiare le cose e distribuire un po' meglio la ricchezza soprattutto nel momento in cui la gente con i soldi manifesta una superiorità immotivata e pretende un trattamento diverso, migliore.

Charita mi ha raccontato che la sua comunità fa spesso un gioco, ognuno dei membri a turno presta 10.000 euro agli altri membri che se li spartiscono e li restituiscono a rate, una sorta di prestito senza interessi che permette ad ognuno di loro di mandare i soldi al paese nativo, ai figli, ai genitori, alla famiglia rimasta in panchina.

Il mio privilegio è quello di poter osservare un pezzo di società dallo spioncino della porta, un pezzo di società aggressiva e maleducata, un pezzo di società che insulta e che entra in ufficio solo per sputare merda ma anche un pezzo di umanità che deve scendere a patti con milionari e miliardari, travestendosi da servo per poter vivere e godere di discreti vantaggi, una vita di finta integrazione in cui per vivere bisogna soffocare ogni tipo di individualità e tradizione culturale, che può guadagnare qualcosa in più a patto di non integrarsi mai e vivere in ghetti comunitari. 

Io questa comunità che riesce a scindersi la ammiro, nel senso più semplice del termine. Non sopporto le disuguaglianze, divido il mondo in gente onesta e disonesta, gente umile e gente snob e la gente "povera" che incontro oggi in ufficio è gente onesta e umile, che non ruba e non ruberebbe mai, è una comunità di persone che ha conservato un'umanità reale, fatta di assistenzialismo e unione - al contrario degli italiani che si fanno la guerra - e sta raccogliendo il tempo e i soldi per vivere fuori dall'Italia, fuori da questo mondo in cui i figli non sono i propri e i sentimenti nemmeno.

Sto a guardare, a volte mi sembra davvero un privilegio. 

Vi dico solo: "Chapeau", andatevene prima possibile adesso.





sabato 2 luglio 2022

'A RAGGIA

 Un'altra umanità fatta di programmi a lungo termine, invivibile organizzazione meccanica e facce congelate in un'espressione assente, bestie insensibili e robot con i cappotti. 

Quanto avrei voluto vivere bene la mia vita! Da qualsiasi altra parte anche il lavoro mi sarebbe piaciuto  un po' di più perché qualsiasi essere umano è più stimolante e vivo di voi!

Vi devo vivere, purtroppo. Quindi, sembra che io non possa offendervi. Ma se ho fatto a meno di tutti voi per dieci anni - concedendo a me stessa il beneficio del dubbio, nutrendo la speranza di essermi sbagliata - pensate che non sappia e non voglia fare a meno di voi per sempre?

Vi rimpinzate di perbenismo dall'alba al tramonto e vivete male. Mamme dei compagni di mio figlio invitate a casa, merenda con calzoni e pasticcini a 35 euro al chilo, che cazzo di storia è che il giorno dopo, all'entrata della scuola, non mi salutate nemmeno? Bestie siete! Non a caso una delle migliori facoltà di psicologia e psicoterapia si trova a Torino. Chiudete subito la porta quando vedete qualcuno sul pianerottolo, vi affezionate dopo anni ma sempre mantenendo una certa distanza e perfino il bengalese sotto casa, che vive qui da anni, mi chiede dieci euro e ventitré centesimi scatenando i miei attacchi d'ira. Sfoghiamola quest'ira quindi, che altrimenti poi ci ammaliamo di depressione per sempre. 

Chi viene dal sud e vive qui confonde la vita con la morte e io mi sento un leone in gabbia, soffro come un vulcano senza cratere. Non sono la sola a vivere questo disagio e questo mi conforta, ci sono anche persone 'grandi' che mi fanno compagnia in Posta. Grandi, meravigliose, belle e forti come la roccia. Si travestono da morti solo alcune volte, vivono di arte e pensieri positivi, alcune non si prendono mai troppo sul serio, escono dalla tana e scivolano per strada, non perdono mai la faccia e gorgogliano cazzate, leggerezze e piangono quando non esistono, proprio come me. 

Ci sono mostri e tenerezze nei miei sogni, un bambino di quattro anni che conosce tutte le bandiere del mondo e ha una passione per i supereroi perché sono migliori di noi umani. Un dolce ricordo di com'era la sua vita precedente lo avvolge ogni tanto ricordandogli che è un piccolo diamante, in difficoltà quando si parla di regole e schemi e non di risate scomposte, solidarietà, socialità, vita.

Direte voi, bestie: perché non te ne torni nella tua città invece di rompere i coglioni? 

Perché non posso, ovviamente. Altrimenti l'avrei già fatto. 

Sono lontani i periodi in cui pensavo che a Torino si vivesse bene, con il sorriso sulle labbra e la serenità nei volti. Lo dicevo solo perché avevo visto fiumi di studenti ubriachi correre lungo il Po da mezzanotte all'alba, avevo calpestato con le ruote sgonfie della mia Cinzia tutti i sampietrini della città senza indicazioni, non avevo impegni se non quello di cercare un impegno e mi fermavo a tutte le bancarelle a fare la commerciante con i commercianti, ad interrogare ogni cosa potesse essere visibile o potesse parlare. 

Mi è arrivato l'ennesimo messaggio di un collega di Poste, mai visto, che ha provato per anni a contattarmi perché era in graduatoria con me per ottenere il trasferimento per Palermo. 

'Voglio chiederti informazioni in merito al trasferimento, per favore rispondi'. 

All'ennesimo messaggio in cui mi scrive il numero di telefono, lo chiamo. Gli dico: 'Compa', la finisci di fare lo stalker? Mica sono il sindacato io, non ne son un cazzo del trasferimento'. Rido, lui ride. Mi dice che sono seconda e che ne prenderanno solo due. Lui in graduatoria è terzo. Gli dico che purtroppo devo rinunciare e lui scoppia a piangere. 

Sto in silenzio, la pausa è lunga e nel frattempo si spezza il cielo di Barcarello al tramonto, via Maqueda e gli indiani, la Palazzina cinese, la Graziella lato passeggero in piedi a sventolare sull'asfalto, Mondello con il suo profumo di alberi e mare, crolla Monte Pellegrino, Elio salumi e l'università di Palermo, insieme a Santa Rosalia e ai parcheggiatori abusivi, franano le ultime palazzine di piazza Garraffaello, si prosciugano i fusti di birra a piazza Sant'Anna, si seccano gli ultimi fili d'erba di piazza Magione, la nebbia della stigghiola si dirada di colpo e le Forst finiscono. 'Non sai quanto mi fai felice', io vivo in un paesino in provincia di Milano e ci sto provando da anni a scendere e adesso che tu rinunci, scusa lo so che sono egoista, mi stai rendendo felice'. 

Taliu a bbuatri chi ristati 'cca e un sapiti chi vi pirditi, quanta energia sprecata e quanta vita lassata. E siccome è una sula, a vita, si proprio a ristari 'cca allura tutta a raggia l'a sfuari picchì a raggia ri quarchi banna av'a niesciri.

(Guardo voi che restate qui e vi perdete, quanta energia sprecata e quanta vita lasciata. E siccome la vita è una sola, se proprio devo restare qui allora devo sfogare la mia rabbia, da qualche parte deve uscire).

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