lunedì 17 maggio 2010

INDIGNAZIONE. Io studio Giornalismo e me ne vergogno.

Pensavo che quello stronzo di Curzio Maltese ha scritto sull’inserto “Il Venerdì” di “Repubblica” che Mourinho sarebbe un ottimo leader per la sinistra e mi chiedevo se fosse ironia oppure verità. Nel senso che la sinistra non può sperare di avere come leader un allenatore di una squadra di calcio, sebbene questa abbia vinto lo scudetto.
Il discorso forse è provocatorio o forse no ma io sono profondamente indignata a causa di questo articolo.
Qualche giorno fa riflettevo su una questione. Alle Vetrerie Sciarra, sede distaccata di Lettere e Filosofia della Sapienza, a Roma, ho assistito ad una lezione tenuta da Eugenio Scalfari, noto per essere stato - nel 1976 - fondatore del quotidiano “La Repubblica”. Quando un ragazzo gli ha fatto una domanda, a mio parere sensata e in qualche modo molto arguta del tipo “lei cosa pensa dei tabloid ovvero di tutti quei quotidiani della free press che ogni mattina affollano metro e autobus di questa città e in qualche modo ostacolano la diffusione della stampa storica e di quotidiani come il suo?”, lui ha risposto in un modo stupidissimo, dicendo che non leggeva quei giornali e pertanto il problema non lo riguardava affatto. Insomma, non era affar suo.
E allora ho pensato che un discorso simile è da deficienti, perché non ti puoi permettere di dire che non è affar tuo, tu hai fondato un giornale storico, tu dopo la morte di Pasolini hai capito che la Democrazia Cristiana aveva fatto più danno e più male del Fascismo, tu hai capito che la stampa deve essere libera, oggettiva e imparziale ma non sai rispondere ad una questione attuale come questa, ti trovi in difficoltà di fronte ad un problema reale che ti riguarda. Certo che ti riguarda!
Questi tabloid spuntano come funghi a Roma. Sono finanziati dalla pubblicità, pubblicità a colori peraltro, che fa guadagnare molto di più.
Sono giornali che non dicono niente eppure bastano e avanzano alla gente.
Sono giornali che non si pagano eppure appagano la sete di notizie di chiunque. Appagano anche il senso di colpa di chiunque, se vogliamo. Sono quotidiani creati sulla base del modello liberale statunitense e anglosassone e riportano per la maggior parte notizie di cronaca e gossip. Efficace strategia. Dirottano l’attenzione su qualcosa di inutile.
La cronaca, l’ho sempre pensato, è un settore malato del giornalismo. I racconti della gente servono a qualcosa. Se orali, voglio dire, hanno un senso. I racconti scritti servono un po’ meno. Manca la mimica, l’espressione, i riferimenti diretti al contesto, i riferimenti temporali e spaziali sono vaghi o solo accennati. Un fatto di cronaca o si racconta faccia a faccia, perché hai avuto modo di assistere a quello o quell’altro evento oppure meglio non raccontarlo. Io sono profondamente convinta che un fatto di cronaca raccontato a milioni e milioni di persone abbia il solo effetto di sconvolgerle, scandalizzarle, in qualche modo impaurirle e zittirle. La strategia della tensione e del terrore è cosa vecchia e da sempre serve a governar le masse. Per non parlare delle notizie di intrattenimento. Il gossip come anche gli eventi mondani e gli scandali alla Fabrizio Corona. Il vero problema è che è difficile prendere realmente coscienza della manipolazione cui si è sottoposti.
Milan Kundera insegna che per stordire un popolo servono giochi, canti e balli e alla fine chi concede privilegi di questo tipo avrà la meglio sull’anima di questa gente.
Mi chiedo quando finirà tutto questo, e mi chiedo soprattutto quando riprenderà vita il giornalismo culturale.
Articoli come quelli di Maltese non meritano di essere pubblicati.

venerdì 14 maggio 2010

Idealismo o Pessimismo cosmico?

Se c’è qualcosa che mi lega profondamente al Pasolini di Scritti Corsari è proprio quella resistenza al cambiamento, quell’idealismo eccessivo, quel bisogno di rimanere fermi e vivere sempre l’infanzia, l’adolescenza e quella che sembra essere la parte migliore della maturità.
Lui, che difendeva con una vis polemica impareggiabile un mondo scomparso a causa dello Sviluppo (così diverso dal Progresso), doveva fare i conti con tutti quegli “spietati” (giusto per citare i Baustelle) che invece quel mondo nemmeno se lo ricordavano oppure non ne sentivano poi tanto la mancanza.
È strano che proprio le persone che mi circondano mi rimproverino la stessa cosa che i lettori del “Corriere” rimproveravano a Pasolini. Il fatto di rimanere ancorati al passato e non accettare il cambiamento.
Quei contadini del mondo preindustriale dei quali parlava l’intellettuale bolognese si servivano di beni necessari, e questo bastava a rendere necessaria la loro vita. Adesso ci si “nutre” di beni superflui, motivo per cui la vita stessa è diventata superflua.
La teoria del “lasciamo perdere” o del “forse andrà male; in ogni caso meglio non rischiare” e cose così rientra in questo mio discorso. In fondo l’attitudine al non rischio, per prevenire le conseguenze nefaste di una qualsiasi azione è sempre stato un tratto caratteriale diffuso, per quanto ristretto ad una tipologia di persone pensate singolarmente. Oggi, invece, questa attitudine è diventata un tratto sociale.
Quella crisi che fa ormai parte integrante di questo periodo storico ha scalfito le coscienze e i caratteri sociali, determinando un impoverimento profondo dell’interiorità di un essere umano. I rapporti si sono trasformati e formalizzati e un’ondata di indifferenza, flessibilità e refrattarietà al male si è abbattuta sulle nostre coscienze fino a decretarne l’assopimento.
Non sono in molti ad accorgersi di quel tratto che oggi caratterizza questa mia generazione. Sto parlando della paura, e della totale mancanza di direttive, del vuoto cosmico che si è insediato tra noi e il mondo, di quella mancanza di obiettivi e di istruzioni che possano indicarci quale strada imboccare. Io vedo un’ansia malsana nelle persone che mi circondano, e una confusione prepotente riguardo il futuro. Ci si stanca perfino a pensarci, al futuro.

lunedì 3 maggio 2010

Sedie di paglia - Cappello a cilindro

Di nascosto il vento stava portando via i resti di una festa estiva
la banda risuonava ancora, quasi potevi andare a tempo di grancassa
qui un semplice via vai, di quelli che t'immagini, fatti di amori in gabbia
qui a non cercare guai, a chiedere alla notte di esser notte quanto basta

Di nascosto il vento stava rubando foglie ai rami e rami ai marciapiedi
qualcuno ragionava urlando seduto sopra sedie di vecchia paglia e tarli,
lei con i suoi colpi di tosse amava ogni suo uomo ogni volta e non più di quanto l'odiasse
lei teneva in mano una foto a mo' di porta fortuna ma non sembrava capisse che...

Non era una notte qualunque
cielo gonfio di stelle, tipico di Settembre
Ma non era una notte qualunque
sfumature d'Oriente, sfumature

Di nascosto il vento stava portando via i resti di una festa estiva
la banda e il suo corteo nell'aria, potevi camminare a tempo di grancassa
lei non ricordava chi fosse e amava ogni suo uomo ogni volta e non più di quanto l'odiasse,
lei con la sua foto ricordo, a mo' di porta fortuna, forse credeva alle stelle

Non era una notte qualunque
cielo gonfio di stelle, tipico di Settembre
Ma non era una notte qualunque
sfumature d'Oriente, sfumature

domenica 2 maggio 2010

IoAlice

È arrivato Rimbaud a soccorrerla, ed Alice è felice di rimembrare fiori malvagi, pasticcini vegetali e allegria dei sensi; un tempo, quale compiacimento scaturiva dalla lettura di altri mondi, di altre vie, quando l’onnipotenza pervadeva i nervi e, quando, nel tempo vergine dell’adolescenza, seguendo i passi della Ma Bohème, lei stessa se ne andava con i pugni nelle tasche sfondate, sotto il cielo, e il sogno di amori preziosi le sfiorava la testa laccata!

ALICE

Alice alita forte sullo specchio, facendosi luce tra le lacrime, arricciando il naso per il dolore.
Le piacerebbe baloccarsi, folleggiare, gingillarsi al ritmo di una bossanova, come tutti i venerdì sera, riempire il bicchiere di vino rosso, anche un Negroamaro andrebbe bene; e bere, sentirsi osservata, sentire i complimenti dei clienti del Solitario, «sei adorabile quando canti», oppure «che voce!», e le piacerebbe averlo a fianco quel paroliere decadente, sentire le sue labbra bisbigliarle frasi balorde all’orecchio con tanto di tocco di lingua finale, sentirlo starnutire, quel devoto figlio di Satana, quell’imberbe ingrato, quel Dorian prepotente, il menestrello che adesso le regala singhiozzi spezzati e occhi rossopeperoncino.
Ecco, eccola la scritta. Enidutiba?
Al contrario.

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