martedì 19 marzo 2013

"Il secondo tempo", dove sono finiti i palermitani del '92?


Vent’anni dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio, Il secondo tempo ci invita a riflettere su come è cambiata, dopo quei tragici eventi, la nostra città. Il docufilm di Piero Li Donni, giovane regista palermitano, mi ha emozionato perché mi ha costretta a pormi delle domande che non mi ponevo da anni.
Dove sono finite tutte quelle persone che scesero in piazza a protestare quando Palermo toccò il fondo? Dove sono quelli che dopo la morte di Falcone e Borsellino si indignarono  e protestarono, urlarono, si sgolarono, chiedendo una città diversa? Dove sono i ragazzi che nel ’92 avevano 8 anni (proprio come Piero)? Dove quei volti arrabbiati che volevano difendere a tutti i costi la propria città? 

Li Donni è un ragazzo palermitano che ha studiato e vive a Roma. E credo sia un paradosso interessante vivere a Roma ma non riuscire a vivere senza Palermo. Piero al liceo parlava sempre di Falcone e Borsellino. Tutti noi eravamo intrisi di cultura dell’antimafia, avevamo degli eroi dai quali prendere esempio, eroi che ci avevano spianato la strada. Piero al liceo era bravo, faceva il rappresentante e noi lo ascoltavamo. Tutti noi sapevamo bene chi a Palermo aveva ragione e chi no, sapevamo, dopo Falcone e Borsellino, cos’era la mafia e come sconfiggerla. Ma poi lo abbiamo dimenticato.
Dove sono quei ragazzi che rimasero impietriti quando Palermo saltò in aria? Molti di loro se ne sono andati. Piero se n’è andato, e anch’io me ne sono andata.
Ma avevamo un promemoria al momento della partenza e sapevamo cosa avremmo dovuto ricordare una volta fuori.
“L’orrore di quel momento - continuò il Re- non lo dimenticherò mai, mai!” 
“Sì, invece - disse la Regina - se non prenderai nota”. 
Così inizia il documentario, con una citazione molto significativa di Lewis Carrol.

Abbiamo preso nota, infatti. E quella città disgraziata che abbiamo lasciato, vorremmo cambiarla anche da lontano. Abbiamo deciso di spostarci per vedere le cose in modo più oggettivo, abbiamo dovuto capire cosa c’era di diverso nella nostra città rispetto alle altre, cosa volevamo migliorasse e come. Palermo l’abbiamo sempre messa al primo posto. Ce ne andiamo per tornare, noi.

La musica del film è parte di questa strategia del ricordo, dell’ammonimento. Una musica angosciante, forte e dolorosa, che ci costringe a rivivere il lutto. 
Come in un gioco di opposti, alla musica fanno da contraltare le immagini e i personaggi. I tre ragazzi palermitani che scandiscono i tre tempi del film - funzionali a circoscrivere la storia nel tempo e nello spazio contemporaneo - rappresentano infatti la perdita della memoria, sono ragazzi ignari della storia della nostra città, sono l’esempio di ciò che siamo diventati. All’interno della sala giochi i ragazzi sparano, l’occhio della telecamera entra dentro il mirino che inquadra l’autostrada distrutta del 23 maggio. Un’inquadratura  che urla: ‘ti ricordi’?

Il secondo tempo è denso di immagini metaforiche, colmo di volti che esprimono sentimenti contrastanti. Immagini e video d’archivio si alternano ad interviste e racconti del cantastorie palermitano Salvo Piparo, attore di una forza comunicativa impareggiabile. E proprio Salvo Piparo chiude il film con il racconto dell’attentato del 23 maggio. La tragedia è raccontata da una prospettiva diversa, quella di due uomini che viaggiano in automobile qualche centinaio di metri più avanti rispetto all’auto di Falcone. Il boato, la strada che esplode, le altre auto distrutte e, pochi minuti dopo, il silenzio. Poi ambulanza, polizia, serene spiegate e la sensazione di felicità per essere rimasti vivi. Come mai? Perché sono ancora vivi? Forse perché, racconta Salvo in un crescendo di parole, emozione e commozione, nella vita non avevano ‘parlato assai’. E si erano salvati. Invece quelli che erano morti avevano parlato troppo, e forse avevano pestato i piedi a qualche mafioso.
Come ci si può salvare? 
Per farlo bisogna sconfiggere il mafioso che c’è in ognuno di noi, dice un ragazzo palermitano intervistato in occasione del ventennale delle stragi. La mafia ha cambiato forma e aspetto in questi venti anni. Quella che non è mai cambiata è la cultura mafiosa che, volontariamente o involontariamente, ogni giorno, viviamo ed esprimiamo.

Nessun commento:

Posta un commento

Archivio blog