lunedì 28 marzo 2011

Noi e la Libia

Quindi c’è una videoconferenza a quattro paesi, e l’Italia, si scrive sul ‘Corriere’, non è stata invitata. Ci sono Germania, Usa, Inghilterra e Francia. Ovvio. Giusto, giustissimo.
Leggo che a Lampedusa è la rivolta e questa volta ce lo siamo veramente meritati. Abbiamo dei problemi più grossi noi a cui pensare, e tutti incentrati su di lui, tutti problemi che riguardano lui.
Nel frattempo ho mandato curricula tutto il santo giorno, sperando che qualcuno risponda. Nel frattempo c’è chi dice che è meglio tornare a Palermo e chi da Palermo non se ne può proprio andare e chissà come fa. C’è chi non se ne vuole andare e chi invece è andato troppo lontano ma alla sua terra ci pensa sempre. C’è chi, un po’ per nostalgia e un po’ no, da Bruxelles è tornato a Mazara del Vallo e chi non ci crede più nemmeno per sogno nell’isola nera. 
La mia terra, caro Napolitano, è un’isola, e le isole sono abitate di isolani isolati per scelta. Da noi è rimasto solo chi voleva rimanere isolato e quelle facce che chiedono pietà, per noi non sono altro che disturbatori, fonti potenziali di pericolo, bianchi travestiti che ti tolgono lavoro. Non li vogliono questi immigrati, non li hanno mai voluti. Questo, caro Napolitano, è un fatto nuovo nella storia, perché ora non sono più cento o duecento, ora è il mare che si ribella e vomita nero. Fosse per me prenderei in casa tutti quelli che ci entrano, ma loro non sono ospitali con chi la casa se la vuole prendere con la forza. Non tutti sanno quello che hanno passato, da dove vengono, cosa succede nel loro paese. 
Caro Napolitano, la causa prima di questa situazione tu la conosci bene, e si chiama Berlusconi. A lui si devono gli accordi con la Libia per il gas e il petrolio. È sua la colpa, e di Frattini, e di Amato. 
Non giudicarci Napolitano, noi siamo gli abitanti della regione più regredita dell’Italia, e a Linosa hanno addirittura la luce e il gas ma lì il progresso è arrivato a stento. 
Noi, se non abbiamo uno zio o un parente che conta siamo costretti a sparire, a lasciare genitori, famiglia e tutto; noi se vogliamo lavorare dobbiamo pagare il pizzo; noi ne abbiamo tanti di problemi. 
Li abbiamo viziati questi libici, ecco qua, perché ci faceva comodo e ora ci sostituiranno. Ma noi abbiamo anche altri problemi. Non ci avevamo mai pensato, è vero. Ci pensiamo solo ora, grazie agli egiziani, ai tunisini, ai marocchini, ai libici e a tutti gli africani.

sabato 26 marzo 2011

Ci vuole autonomia per perdersi

C’è un film di Michelangelo Antonioni che si chiama L’avventura. In questo film i due protagonisti sono un uomo e una donna che si amano e che vanno in vacanza con alcuni amici.
Ad un tratto, i protagonisti cambiano. Vanno in barca a vela con gli amici, e lo schermo mostra isole siciliane, tuffi, gabbiani e quant’altro. Ad un tratto la protagonista si perde sull’isola e il protagonista, insieme con gli amici, comincia a cercare la donna.
Tutti la cercano. La cerca il protagonista e la cerca la migliore amica della protagonista; entrambi si chiedono dove sia finita, urlano il suo nome, sembrano impazziti perché non la trovano più tra gli scogli, non si rendono conto di come sia potuto accadere; perdere una donna in mezzo agli scogli non è così semplice.
Non la trovano, urlano e non ricevono risposta. Inizia il giro dell’isola per cercarla, inizia il tour di Chi l’ha visto e non si trova proprio niente. Niente di niente.
Così, dal nulla lei sparisce. Ma la cosa assurda è che la migliore amica della donna scomparsa, nonché della nostra finta protagonista, si innamora del compagno di lei, ovvero del nostro protagonista. Così tra i due comincia una storia, una storia che nessuno di noi telespettatori condivide, una storia sbagliata. Lei è Monica Vitti, e non possiamo che amarla. Ma in questo film interpreta il ruolo di una gran puttana.
Questa storia non è finta, eppure fa schifo perché è comunque un tradimento, è un dimenticare il passato, un errore, una reazione sconsiderata. Questa sembra fin dall’inizio una storia noiosissima e sbagliata, fatta di dipendenze e assurdità, di scarsa autonomia e di satiriasi, per quegli uomini che sanno di averlo duro anche per le bambole, che non distinguono i corpi in una notte di estate rischiosa o ‘a rischio’, che non sanno fare differenza tra l’effimero e il durevole. Questa è la storia di tutti gli uomini, nel peggiore dei casi, che non si accorgono della luce che li illumina e del calore che li riscalda nelle serate più fredde, quando le case perdono le loro forme e diventano nuvole, quando le linee da dritte si fanno curve e le bocche si fanno così funzionali da diventare sporche, quando le orecchie diventano spugne e sentono tutto, anche i rumori delle mani prima di andare a dormire.
Questa è la storia noiosissima di fatti di carne e paranoie, quando il sole sorge e il nervosismo prende piede, e gli occhi ricordano il ghiaccio che spaccavi a mani nude in una sera di agosto.
E questa autonomia che sembra così sacra. Io ci sputo addosso. Non mi convince questa autonomia in questo mondo, non ci vedo niente. Ma dato che me l’hai chiesta me la prendo, e vivo tutto a metà, come se queste giornate fossero metà mie e metà tue e non tutte mie e tue, come se questi occhi guardassero metà tramonto e metà mare, come se vivessi da sola, come se fossi sola, e come se mi piacesse. Quella vaga punta di ingenuità che avevo visto in te era forse solo inesperienza, non voglia di fare le cose in due.
Se c’è una cosa che le nostre madri ci insegnano è di non dipendere da nessuno. Bene. Bene per loro, che non ci hanno mai provato a rendersi la vita migliore condividendola con la persona giusta. È una la vita, una e breve, e quanto valgo, invece di lasciarlo decidere ad una laurea o ad un lavoro, preferisco lasciarlo decidere a me o al mio ragazzo e alla persona che ritengo degna di stare accanto a me. Per sempre deciderò di stare qui perché da qui passano le persone che amo di più e da qui potranno passare le persone giuste per me.
Non è girare il mondo quello che desidero, ma restare, restare in questo paese di vecchi che non vogliono cambiare le cose; e non voglio restarci solo per cambiare le cose ma anche per amare le persone che fino ad ora hanno riempito queste giornate e ridere con loro e piangere con loro. Il planisfero mi serve solo a ricordare che queste persone possono arrivare da tutta la palla.

venerdì 18 febbraio 2011

Animali contro natura

Dato che in questo periodo tutti si dissociano da qualcosa io mi dissocio da Benigni, dal Festival di Sanremo, dal centocinquantenario dell’Unità d’Italia, da quei minchioni di Luca e Paolo, da Masi e da tutta la merda che affolla la tv.
L’impressione è quella che, avendo loro fatto un gioco sporco di manipolazione dei cervelli, adesso chiunque tende a legittimare comportamenti che qualche tempo fa ci sarebbero sembrati assurdi e inconcepibili.
Che valore può avere il concetto di Unità d’Italia oggi? Come ci si commuove oggi con l’Inno d’Italia? Anche Benigni sembrava far fatica, sembrava sforzarsi per mostrare un briciolo di commozione. Io dico che siamo alla frutta. Siamo alla frutta perché il direttore generale della RAI telefona prima a Santoro dicendo che si dissocia dai contenuti e dalla forma del suo programma e poi, una settimana dopo, chiama la Ventura per farle i complimenti per il suo programma, L’Isola dei famosi. Perché le ragazze intervistate ad Annozero (e non erano escort) dicono che Berlusconi è affascinante e poi dicono ‘magari ci proponessero di partecipare ai festini di Arcore!’
Siamo alla frutta perché Luca e Paolo, dopo le lamentele del Direttore della RAI che esorta a fare satira sulla sinistra e non solo sulla destra, giocano e scherzano su Saviano che magari tra qualche anno sarà pure bello e sepolto e gli rimarrà sulla coscienza. Siamo alla frutta perché Benigni preferisce essere pagato per dire quattro stronzate invece di rifiutare i soldi e dissentire, venire a patti con questo potere, facendo ironia su un cavallo bianco che a detta sua ricorderà l’entrata trionfale all’Ariston (indimenticabile entrata, soprattutto per un cavallo, dice Benigni), e che lo avrebbe volentieri preso a calci in culo. Benigni che fa finta di criticare il premier e non ci riesce perché non si può, è vietato, dice prendendo in giro anche se stesso e lo fa con una maestria che quasi gli si crede e vorrebbe dissentire ma in realtà a pensarci bene era già stato tutto preparato, magari per non perdere le faccia, due o tre battutine nemmeno tanto pungenti, e la Cinquetti, non ho l’età, non è un buon momento per i Cavalieri. E allora? Che hai detto Benigni? A chi la dai a bere? Caro Benigni, guarda che Monicelli da lassù ti sta guardando.
Cosa volevi dire Benigni? Volevi dire che tu non stai né da una parte né dall’altra, che non sei né serio né poco serio, che non prendi una posizione. E, se uno spettacolo del genere lo avessi fatto un anno fa, allora potevo capirlo, e avrei pure riso. Ma oggi, Benigni, io non rido. Perché oggi una posizione va presa. Va presa perché ne abbiamo bisogno, perché stiamo male tutti e perché non c’è più nulla da ridere. Va presa perché temo che la maggior parte degli italiani, sotto sotto, sia orgogliosa di Berlusconi. Retaggio dell’antico maschilismo. Ammirazione, e quindi giustificazione. Guarda quello lì che alla sua età ancora spruzza di qua e di là. I nonni che pensano “magari avessi io la sua grinta e la sua fortuna con le donne”, uomini con problemi di erezione che lo invidiano, gente che si eccita pensando che un vecchio fa il Bunga Bunga con le minorenni, perversioni legittimate dalla politica e dalla storia d’Italia. Questa storia d’Italia.
Per questo le donne sono incazzate. Perché sembra un punto di non ritorno, perché sembra la normalità, perché si sa bene che Berlusconi sotto sotto - per molti uomini di questo paese - è un grande. O almeno non biasimabile. Chiamalo scemo. Quello sotto sotto se la ride perché, in fondo, sa benissimo che se domani si dovesse ri-votare, vincerebbe lo stesso. E direbbe che gli altri capi di Stato e i direttori dei giornali che lo criticano, tutti maschi ovviamente, sono invidiosi e che non esiste un solo uomo sulla terra che in fin dei conti non lo giustifichi.
In fondo siamo animali. Siamo animali che non si incazzano mai però. Nemmeno quando ci toccano la vita. Siamo animali indifferenti, quindi contro natura.

mercoledì 2 febbraio 2011

Raccontare è la terapia

Lungo silenzio, perché non avevo niente da dire. Ho lasciato perdere molte cose importanti, prima tra tutte la morte di Monicelli. Il significato della sua morte. Ma non importa, ho scritto di lui sul mio diario e mi è bastato. Oggi riprendo momentaneamente la terapia.

Questo inverno, oltre ad un amore grande, di quelli che racconti alla nonna e speri che sia la persona per te, mi sta regalando un sacco di scetticismo in più. Scrivo una tesi di giornalismo culturale col cervello che molleggia e sbanda e gli occhi che non vogliono e non possono restare fissi su un punto solo, e ballano e si confondono. E in loop questa canzone che è legata al ricordo di qualche giorno fa, quando sul letto di casa mia piangevo come una scema perché dovevo tornare a casa per pura necessità e sapevo che mi aspettavano giorni tristi. E tutta l’angoscia la ritrovo in queste note, verdena razzi arpie eccetera concentrato di angoscia per le orecchie. Io questo tempo me lo sto gestendo male.

Oggi mi è successa questa cosa, e mi sono incazzata. Mi chiama il tipo del servizio civile e mi dice che sono stata selezionata eccetera ma che deve farmi delle domande. Mi chiede se posso andare in sede domani. Io dico che non sono a Roma. –Ah, e dove sei? – A Palermo – E perché? – Guardi, ho avuto un po’ di problemi a casa – E cioè? Che stronzo, penso. –C’è mia nonna che sta male ed è in ospedale – Ah, e scusa tanto, sei scesa per tua nonna? E tua madre e tuo padre allora che ci stanno a fare? –Prego? –Dico, se scendi perché tua nonna sta male allora quando staranno male i tuoi genitori cosa farai? Se lei deve cominciare ad assentarsi me lo dica che questo posto lo diamo ad un’altra persona.
Silenzio. Che cosa si risponde in questi casi? –Mi scusi, non credo siano affari suoi. Ad ogni modo quando inizia il servizio civile? –Il primo marzo. –Bene, allora il primo marzo ci sarò. Se poi ritiene opportuno scartarmi perché immagina che farò troppe assenze faccia pure. Arrivederci.
Un romano del cazzo, uno di quelli che in punto di morte sarà solo come un cane e che nella sua vita non ha coltivato alcun rapporto, un povero disgraziato senza amici e senza senso, uno di quelli che la moglie ce l’ha ma preferisce andare a puttane. Tanto a Roma ci devo tornare.

L’ho raccontato a mia nonna che tornerò qui, le ho detto di non preoccuparsi, non voglio lasciare nessuno. Ho trovato questo ragazzo, nonna. Sai, l’ho proprio trovato, così per caso, in un giorno inutile, al bar della Sapienza. Ma è di Palermo sai? Era tutto sudato e aveva una maglia rossa. Non dava confidenza a nessuno, era timido. Un giorno alla Basilica di Massenzio ero gelosa perché lo volevo accanto durante lo spettacolo del Festival delle letterature, lo volevo vicino e lui era seduto accanto ad una mia amica. Allora ho capito che mi piaceva. Ero contenta di vederlo e chiedevo sempre di lui. Poi un giorno a Palermo ero proprio giù di morale e non volevo vedere nessuno tranne lui. Allora siamo andati al Borgo vecchio e avevano organizzato una strana cosa sull’autobus, tipo un concertino con le percussioni ma non ci piaceva tanto solo io ero emozionata e lo prendevo sempre in giro. Poi siamo andati sul prato della Magione e lui mi ha raccontato un sacco di cose. Sai nonna, prima mi parlava sempre del suo passato e io, che l’ho rielaborato insieme a lui in una serie di sedute psichiatriche ridicole, adesso il suo passato un po’ lo detesto. Vorrei che non avesse un passato. Vorrei esserci io da sempre.
Poi mi ricordo Castelbuono dove ho incontrato le persone del mio passato questa volta e ho chiuso tutti i conti. Nonna, lui mi cercava, mi chiamava e mi cercava. Lui il cinque agosto mi voleva già un sacco di bene secondo me. Sono innamorata da un po’ di mesi ormai e sono felice nonna, felice. Solo un po’ spaesata. Sono sempre io nonna, e certo che torno.
Ti racconto tutto, ma non chiudere gli occhi.
Ascoltami, sai che per il suo compleanno gli ho cucinato i calamari ripieni con la ricetta che mi hai dato tu? Nonna, hai un sacco di ricette da darmi. Nonna mi senti? Ecco, dicevo che hai ancora un sacco di ricette da darmi. Lei apre gli occhi e con gli occhi sorride.
Le racconto che a Roma ci sono Anna Ida e Dani, le racconto che ho conosciuto gente che mi fa stare bene. Sì, ma torno. Tranquilla. Lo so che mia madre è sola, che mio fratello è partito. Io torno.

Poi si addormenta, e sogna. E parla nel sonno. Farfuglia qualcosa che non si capisce. Poi scandisce chiaramente queste parole:'la salsa è pronta'. E io non posso far altro che sorridere.

venerdì 12 novembre 2010

Chanteclaire, lo sgrassatore.

La stanza è diventata un bazar. Ci sono vestiti dappertutto scarpe disseminate a riempire ogni mattonella libri mai letti sulla scrivania cose non mie regali mai consegnati riviste impolverate lette a metà coperte aggrovigliate e maleodoranti montagne di cicche nel posacenere e l'odore di intere generazioni che ci hanno passato la vita qui dentro, generazioni che evaporano da questa lurida carta da parati.
Non mi va affatto di riordinare, di ripulire. Non mi va nemmeno di alzarmi dal letto.
Ho la sensazione che anche se facessi ordine non cambierebbe proprio un cazzo nella mia testa. Rimarrei comunque troppo confusa.
La stessa confusione nella stanza e nella testa. Una confusione che oggi non si può risolvere.
Credo di essermi persa.

Mi sono persa perché tu mi hai detto che non sai cosa potrei fare 'da grande' e invece io a te l'ho detto. Io lo so cosa puoi fare tu. Tu una possibilità ce l'hai. E non credo sia solo una questione di buona volontà. Sto parlando di ambizioni. Tu sì che sei ambizioso.
Credo di essermi persa perché mi hanno detto che sarebbe meglio tornare a Palermo.

Torno da Berlino, dove mi hai detto che vuoi andare a vivere. Bella Berlino. Bella la vita a Berlino. Ma il cielo è troppo grigio e i piedi ti si congelano per il freddo, la pioggia ti entra dentro le scarpe e alle quattro è già buio. Si potrebbe vivere lì comunque, magari in una stanzetta vicino una stazione est da duecento euro al mese. Si potrebbe mangiare l'insalata e il kebab, si potrebbe bere anche il loro caffè. Si potrebbe fare attenzione a quel barbone che si fa di eroina proprio lì dove tu prendi la metro ogni giorno. Si potrebbe perfezionare l'inglese e indossare il paraorecchie, vivere di hamburger e borsa dell'acqua calda, sopportare una tristezza malsana in metro e la domenica fare un giro per le bancarelle d'usato di Mauerpark, andare a Tacheles quando ti vuoi fare una canna con qualche debosciato, sempre a Mauerpark per sentire quanto dista tuo nonno da quella generazione, per parlare col tuo amico strafatto di Enna, per capire che l'arte non è esattamente arte. Ci si potrebbe andare sì, e vivere di marchette a Zoologischer Garten, o magari in una caffetteria e nel tempo libero mangiare Donuts e Sacher. Perché no?
Ma prima aiutami a capire che cosa so fare e cosa posso fare. Posso rimanere anche qui a Roma, ma solo se vinco al Superenalotto. Qualsiasi lavoretto non mi consentirebbe l'autonomia sufficiente a pagarmi l'affitto di questa stanza. Non si scherza con Roma, e ieri la pizza che ho comprato mi è costata un sacco di soldi, informarsi veramente costa tanto e arrivare al Colosseo è più stancante di quanto si possa immaginare. Qui ti stanchi mentre cammini. Ti stanchi guardando la gente che corre e non ti degna nemmeno di uno sguardo. Ti stanchi perché ti chiamano 'ciccia' o 'stella' con un'ipocrisia che dà la nausea, perché ti sorridono solo quando vogliono qualcosa in cambio, questi romani senza amici. E scusa se generalizzo.
E metti che mi assumono al centro commerciale o all'ufficio vendite dell'azienda 'Muoriroma' devo sempre prendere l'autobus o il treno come in quel film che non abbiamo mai visto per intero, quello con Favino, l'attore che un po' ti piace. Quella del film si faceva 'sti viaggi lunghi in treno con la nebbia che le oscurava le caviglie e gli occhi sempre tristi e io invece a lavoro ci vorrei andare solo nelle giornate di sole, e avere sempre lo sguardo rivolto al blu del mare. Che dici amore? Forse vivo nel mondo delle favole? Ora ci credi che io non sono affatto matura? Ora ci credi che non assomiglio affatto a tua madre? Ora capisci che tutte le mie ambizioni sono fatte solo di 'parole' e non di fatti?
Dovrei farmi una doccia e andare in giro a cercarmi un lavoro. E non lo sto facendo. Spreco ore di affitto così, senza rendermi utile. Domani lo cerco, promesso.
Il vero trauma di quelli della nostra età è che si sentono inutili perché nessuno ha bisogno di loro. La mancanza di lavoro ci rende perfettamente inutili, e una che sa solo scrivere, invece che lavorare per il giornale del suo paese e ricevere una paga a fine mese, va a lavorare come cassiera in un autogrill.
L'unica cosa che la soddisfa è scrivere i suoi versi sulle mattonelle del cesso di quello stesso autogrill, dove peraltro la sua collega più grande di due anni - che 'da grande' voleva insegnare - fa le pulizie giornalmente, cancellando quei versi a colpi di Chanteclair.

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