domenica 11 luglio 2010

Cromoterapia

La vecchietta del tabacchi fa i conti a mano, e mi fa uno strano effetto.
Dice che la lettera te la imbuca lei. Prende un francobollo da sessanta. Quando lo lecca la saliva le si scioglie sul mento.

In questo mondo in bianco e nero mi sento sempre un po’ a mio agio. Come quando c’erano le brioches con la nutella se eri malata. Come quando mamma e papà, quando eri piccola, ti lasciavano a casa della nonna, di mattina e a volte il sabato sera. Lei guardava Fabrizio Frizzi alla televisione e rideva. Invece tuo nonno rideva con Magalli. La televisione era già diventata efficace. Prima un sorriso era semplicemente una risposta ad un altro sorriso non mediato da uno schermo.

La domenica ti svegliavi felice, e la colazione era a base di cioccolata calda e biscotti. Poi guardavi Jem (‘il mio nome è Jem/sono una cantante’ ecc...).
C’era una luce calda dentro quel soggiorno, la luce più calda che tu possa ricordare.
La sera l’acqua la bevevi direttamente dal mestolo.
Il rimedio per la febbre era un dito di grappa condita con chicchi di melograno.
Eri sempre di buonumore.


Oggi hai chiesto a tuo padre se ricorda, da quando è nato, una disoccupazione e una crisi così feroci. Ti ha detto ‘no, no e no’.


Ogni volta che torni a Palermo hai la sensazione di dover soffocare insieme all’asfalto incandescente. Poi la terra dei desideri ad un tratto diventa generosa, ti offre un mare senza meduse e un sole che ti illumina i denti. Le strade piene di rifiuti profumano di pulito, sono le migliori del mondo. Bere acqua del mare, ingurgitare colore per risputarlo dalla bocca e dagli occhi, sentire campane e fuochi d’artificio, assaggiare i gelsi bianchi, sentirti spiata da un ulivo argentato che ti ha visto crescere e che tu hai visto crescere, sentir la pelle respirare a pori larghi.
Sole che brucia tutto e accende i colori.

martedì 29 giugno 2010

Occhi e cieli stellati

A volte il telefono squillava, ma io odio profondamente il telefono quindi niente. 
Quando Daniela mi ha accompagnata a casa abbiamo deciso di fare una sosta al bar di via Gallia. Un bel bar notturno pieno di gente volgare e qualche trans, un bar in cui i baristi sono allegri e i cassieri vanno un attimo al bagno per pippare altrimenti si addormentano. Qui sono tutti strafatti. Il barista dice di essere romano ma è di colore. Non sei romano. "Da dove vieni? Sono di Roma. Sei nato qui? Sì. E i tuoi? No i miei no. Ah e loro di dove sono? Mia mamma è filippina".
Una ragazza circondata solo da ragazzi visibilmente ubriachi. Questi maschi così poco maschi si lanciano occhiate per creare una gerarchia. Non si sa bene chi deve scoparsela. Non è proprio carina ma stasera non c’è nulla di meglio. Si guardano in giro e non c’è nessuno. Lei sembra molto disponibile. Probabilmente sarebbe pure disposta a provare che ne so un’orgia o una cosa a quattro. Ma loro non possono saperlo e nemmeno intuirlo. Oggi i maschi si distinguono per questo loro essere ingenui rispetto alle donne. Loro sono disinibite, vergognosamente scollate e fanno paura. Siamo ritornati alla femme fatale del XIX secolo. La donna di oggi è una tigre reale verghiana e l’uomo ha decisamente paura di tanta aggressività. Poveri cristi costretti a massacrarsi di seghe per uno sguardo non incrociato. Perché abbassi lo sguardo e non sai quanta roba porno ti perdi. Perché loro sono lì con la minigonna pubica che aspettano solo di fartela vedere, aspettano di sbattertela in faccia ma tu non te ne accorgi nemmeno. Poi ridono sempre loro, veline deluse dalla vita, ridono per qualunque cosa. L’unica cosa che a loro importa è farsi accettare da te, maschio impaurito. Cucciolotto, non vedi come sbatte le ciglia? Non vedi che ha perso quattro chili in una settimana, per te e solo per te? Un gesto apprezzabile. Carino da parte sua. Calcolala un po’, dai. Non pensare solo alle tue di sopracciglia, Non pensare alla tua di ceretta. Guardala un po’.


Sono le quattro e un quarto di notte e la sveglia non sarà clemente con me domani mattina. Il posacenere è colmo di cicche e Remedios si è già congedata da Nicola. Io ho voglia di un’altra sigaretta, ho voglia di aspirare un altro po’ di vita.
E so bene dove vorrei essere. Su una bicicletta, lato passeggero.
Sempre che esista il lato passeggero su una bicicletta.
E adesso, con gli occhi semichiusi, vi confesso che “non so affrontare la vita quando sono sobria”. E questa è una citazione prima che una verità. Ma Bukowski stava messo male, un po' peggio di me.
Auguro a tutti una buona notte.
A tutti, comprese le stelle, quelle che prima cascavano dal cielo solo per farmi piacere e adesso non più.
Che la prossima stella cada solo per farmi piacere, perché io possa accennare un sorriso a più denti!

venerdì 25 giugno 2010

Estate

Arrivata, quest’estate ieri acerba ora matura, col profumo di fiori di zucchero e puzza di spazzatura. I topi che avanzano lungo il marciapiede del Colosseo, a passo d’uomo, le bandiere che smettono di svolazzare e non solo perché il vento non soffia più, la bambina dagli occhi sempre più azzurri, i capelli appiccicati al viso, la pizzica a piazza San Giovanni, gli odiati fuochi d’artificio e quelle stelle filanti così fuori luogo. Ridicole stelle filanti.

Tu folle tu squilibrata tu che bevi Valium caffè e vino dallo stesso bicchiere tu che non distingui più i sapori.
Tu oggi aggiungi un po’ di latte nella tazzina del caffè e abbracci volti e ricordi col sorriso sardonico di chi ha definitivamente chiuso con la strada che sta dietro.

Giusto per precisarlo a me stessa: non smetterò mai di innamorarmi della gente, di fantasticare sulla gente.

Le sigarette da oggi hanno un altro sapore.
Mi basta poco: qualche confetto dal cielo e sorrisi larghi.

Il mondo richiede veramente poco impegno. Pensa che quei ragazzi avevano il tema sugli ufo.
Pensa che oggi anche a te veniva un po’ da piangere quando hai visto le lacrime di Quagliarella.
Pensa che i cani a Roma nemmeno abbaiano più.
Pensa che non si sforza più nessuno.


Spero oggi sia un buon giorno.

martedì 22 giugno 2010

' Umanità, mi stai sul cazzo da sempre ' (C. Bukowski)

Mandarsi i fiori da sole, per fare ingelosire l’uomo che amano... Questa era la trovata più che legittima di Rob Reiner per descrivere la follia di certe donne. E in fondo torto non aveva.

Mentre il fumo avvolge le mie tonsille fino a strangolarle, sono qui sul letto a scrivere di niente. Il medico dice che non sono placche, sono pezzi di cibo che mi si ficcano in gola. Signorina lei è piena di infezioni questo è solo cibo ma mangia bene? Ha problemi di stomaco? Gastrite o cose così? No lei non ha il tetano, non si preoccupi. Posso darti del tu? Sei stressata? Ti cadono mazzi di capelli? Hai una valvola di sfogo?
Puoi provare questa cura per una settimana. Poi ritorna qui e vediamo come va.
Dalla dottoressa non ci volevo proprio andare. Che cazzo ci vado a fare? Lo so che ho. Non ho un cazzo.
Tachifludec e uno spray per la gola, per allagarla di fluidi anestetizzanti e Argotone. Sangue dal naso e lacrime. Per il raffreddore, si intende. Digrignare i denti.

Lo stomaco, che ormai galleggia nel vino del Tuodì. Lo dovevo dire questo alla dottoressa?

Poi vado a fare la spesa, perché non hai nemmeno la carta igienica per pulirti il culo. Vai e ritorni a casa con un mucchio di roba, due sacchi pesantissimi e una borsa della spesa colma di piombo. Nessuno stronzo che ti aiuta. Ti vedono in difficoltà, fare due passi per volta e poggiare le buste per terra. Poi, con l’espressione incazzata, ti fermi. Poggi per terra le buste, ancora, ti guardi intorno, studi i froci che ti circondano e scopri che sono davvero tutti froci, e ancheggiano e sculettano e li senti che dicono ‘certo che non ci sono andato all’happening, era troppo fuori quel tipo. No, stasera non ci vado. Quel gruppo? Che genere fa? Quello è dream pop. Io preferisco la chill out. Vado con Tommy domani. No, non lo sapevo che andavate lì. Il sushi? Sì, lì è discreto, meglio che dal corto. Vabbè dai, allora a stasera. Ma davvero è stato bello? Daje fratè, se vedemo!’
Ti viene solo da vomitare. Lui sculetta, con i jeans attillatissimi, la voce da donna, ridacchiando come una vera puttana e tu stai lì come una stronza in attesa che qualcuno ti aiuti. Ma lui è molto più magro di te, e anche se volesse non potrebbe aiutarti. Gli uomini oggi si distinguono per questo loro essere più magri delle donne, più magri più stronzi più sensibili più impegnati più non posso scusa ho fretta devo andare devo lavorare scusa non volevo poi ci penso io.
Sei stanca, hai anche un po’ d’influenza, vorresti svenire, fingere di avere un calo di pressione e invece sei lì al centro del marciapiede e ti passano davanti solo checche che parlano di cazzate. Non me lo sto inventando. Davvero.
Poi pensi che qualcuno sta peggio di te e rifletti sul fatto che non solo quella vecchietta di oggi, quella della sala d'attesa, ha indossato il suo vestito migliore e ha finito la boccetta del suo carissimo profumo per l’occasione, ma che il vecchietto che le siede accanto non la guarda nemmeno. Anzi sembra quasi infastidito. La collana di perle è decisamente fuori luogo ma lei la indossa con naturalezza.
Penso che siamo sempre le stesse, a ventiquattro o a sessant’anni.
Poi guardo la segretaria della dottoressa. Ha una scollatura provocante, ti sbatte in faccia tette e sorriso in un colpo solo e ti chiede nome cognome indirizzo città e numero di telefono. Volendo potrebbe trovarti amarti cercarti pedinarti come e quando le pare, fare le valigie e venire a vivere da te, amare e perseguitare chi le piace con la naturalezza di chi lo fa per mestiere. Lei sa tutto di te e tu non puoi farci nulla. Si sa pure comportare. Indossa tacchi alti e ha una voce suadente alla Jessica Rabbit. Forse a volte se lo scorda di essere in uno studio medico.
Io scatarrerei volentieri sul suo stupido block notes. Lei mi guarda e mi chiede scusa per ogni cosa, se non trova la penna, se squilla il telefono, se non mi guarda negli occhi, se parla con un altro. Io mi incazzo e la fisso. Voglio vedere a che punto arriva la demenza di questa debosciata. La fisso per un po’. Poi faccio retromarcia e mi siedo.

Finalmente la signora profumata, quella delle perle, incrocia il mio di sguardo. E sono proprio io a regalarle il primo sorriso della giornata. E sono io a guardarla. Lei ricambia, e ha gli occhi lucidi. Io me ne sono accorta.

martedì 15 giugno 2010

Noi emigranti

Quella Palermo che ora ha un giardino che si specchia sul mare, e prima aveva solo giostre e puttane.
Sta morendo. E con Palermo muoiono i palermitani. Quelli che se ne vanno.

Il mio amico vive a Foligno. L’altro giorno gli ho chiesto se voleva tornare giù. «A parità di lavoro, adesso, cosa faresti? Torneresti?»
Lui ha trovato gente fantastica lassù, ha una ragazza che ama, dei coinquilini meravigliosi e degli amici veri.
Lui tornerebbe giù, senza pensarci due volte.

Lei vive in Finlandia adesso. Dovrà rimanerci per altri cinque mesi. Sta lavorando lì, la pagano bene. È socievole lei, simpatica, molto in gamba. Si adatta ovunque per quello che so. Ma è a Palermo che vuole vivere, dice che il suo posto è lì, in mezzo alla spazzatura, in «quel sud che puzza di fame». Io quegli occhi li ho sempre davanti, e mi sembra di vederli lucidi e fieri, che fissano un punto preciso; uno sguardo che non si può sostenere. Remedios, dolce Remedios.

Poi c’è Billy, che viaggia sempre. Adesso è in Spagna, e credo stia bene. Ma ogni volta che parte ha le crisi isteriche. Sale sulla macchina e parte. E mentre guida piange, tanto da non veder più nemmeno la strada. Poi le passa però. Anche per lei Palermo è troppo importante.

C’è chi ha perso le coordinate, ed è rimasto in una città fantasma della Sicilia. C’è chi teme che il proprio corso di laurea venga soppresso. C’è chi ha debiti da colmare e chi non riesce più a sostenere esami. Chi lavora in Sicilia per paura di perdere tutto. Chi se ne va, e sa che non ritornerà più.
C’è chi parte per seguire qualcuno, e poi se ne pente. Chi costruisce qualcosa in ogni angolo della terra, e se ne pente, perché in fondo partire è lasciarsi qualcosa alle spalle e alcune persone meritavano più tempo.
C’è chi viene dall’Africa su un gommone strapieno e non se ne pente, e vive con la foto della sua famiglia nera sempre più nera appesa in camera, appiccicata al muro per sempre. C’è chi viene dalla Tunisia e mette su una nuova famiglia, dimenticando quella che ha lasciato dall’altra parte del Mediterraneo. Ci sono donne che soffrono per i mariti che se ne sono andati, mariti che colmano il loro senso di colpa con le rimesse.
C’è chi prima di trovare il suo posto deve trovare se stesso, e non dentro una bottiglia. C’è chi non ha il coraggio, e vive di rimpianti da una vita.
C’è chi con gli occhi azzurri più belli della terra ingoia tutte le persone che incontra e divora ogni luogo. Chi impara dieci lingue ma dimentica per sempre l’idioma materno, il dialetto dell’infanzia. Chi è ancora in attesa di partire, imprigionato in qualche centro di detenzione in Libia. Chi rischia la vita per un pezzo di pane.
Sono sempre i poveri a dover partire. E oggi siamo quasi tutti poveri di risorse.
In fondo siamo un po’ tutti emigranti.

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