giovedì 15 agosto 2024

Cani senza patruni

 



Quannu mi pigghia a malinconia,

quannu mi sentu na cosa inutile o nna 'na strata senza uscita,

quannu mi vennu tutt'i nuoliti ru munnu e mancu mi pozzu addummisciri,

a cosa chiù bella chi mi veni ri pinsari è chi sugnu un cani senza patruni.

Nuddu mi cumanna, chiddu chi mi passa pa tiesta u ricu senza farimi troppi problemi,

mi nni vaiu ri ccà e ri ddà e parru cu tutti, 'nquetu a tutti,

parru cu picciriddi e cristiani, mi fazzu cuntari cosi novi, eccu vuci si mi veni ri ittari vuci, 

riru, chianciu, babbiu, m'arraggiu si mi fannu arraggiari.

Chistu è secunnu mia u sensu ri tutta a me vita e ancora cchiu bellu aviri qualcunu o latu ca t'assicunna,

ca un si nni fa' problemi, qualcunu chi pigghia a vita a ririri e avi siempri 'na parola bona pi tutti,

quarcunu chi biri sulu u suli e che l'acqua u vagna e u ventu l'asciuga.

Senza patruni vogghiu stari, vivere a sentimento, 

senza nuddu chi mi rici 'nzoccu a fari, senza cummattiri chi cristiani ca pensanu sulu a travagghiari futtennu l'avutri, 

cu u piaciri ri parrari chi cristiani, aiutalli, rarici cuntu, vasalli. 

Chianciri 'nsemmula, comu frati, 

e si c'è quarchi problema, abbrazzarinni, caminari sempi rittu, senza lassari nuddu n'arrieri.


Traduzione

Quando mi prende la malinconia, quando mi sento inutile o in una strada senza uscita, quando mi vengono tutte le paranoie possibili e non posso nemmeno dormire, la cosa più bella che mi viene da pensare è che sono un cane senza padrone. Nessuno mi comanda, quello che mi passa per la testa lo dico senza troppi problemi, me ne vado di qua e di là e parlo con tutti, disturbo tutti, parlo con bambini e adulti, mi faccio raccontare cose nuove, urlo se mi viene da urlare, rido, piango, scherzo, mi arrabbio se mi fanno arrabbiare.

Questo è secondo me il senso di tutta la mia vita e ancora più bello è avere accanto qualcuno che ti asseconda, che non si fa problemi, qualcuno che prenda la vita con leggerezza e ha sempre una parola buona per tutti, qualcuno che vede solo il sole, che 'l'acqua lo bagna e il vento l'asciuga'.

Senza padrone voglio stare, vivere a sentimento, senza nessuno che mi dice cosa fare, senza avere a che fare con persone che pensano solo a lavorare fottendo gli altri, con il piacere di parlare con la gente, aiutarla, dargli retta, baciarla. Piangere insieme, come fratelli, se c'è qualche problema, abbracciarci, camminare sempre dritto, senza lasciare nessuno indietro.


sabato 20 aprile 2024

Depressione e narcisismo

 

Sono 300 milioni nel mondo le persone che hanno sofferto almeno una volta di disturbi depressivi. Le donne adulte sono il doppio degli uomini. I bambini no, i bambini sono depressi uguali, maschi e femmine. Questo il dato evidenziato dalla psicoterapeuta Morelli nel podcast Sigmund del Post. Cos’hanno le donne che non va, mi chiedo?

Il carico emotivo ed emozionale, il carico cognitivo, gestionale e logistico.

Quali i sintomi? Tristezza, la perdita di memoria, un basso livello di concentrazione, rallentamento psicomotorio, affaticamento, mal di testa, disturbi gastro intestinali. E la rabbia. La rabbia è un’emozione importante, mi sembra mi caratterizzi da quando ho compiuto 10 anni. Prima c’era una parità di disagio tra bambini, prima dei 10 anni non ci si imbarazzava per niente, non ci si autosvalutava, non esistevano problemi di autostima, il senso di colpa non era un macigno che pesava tanto e i dolori emotivi non arrivavano ancora da tutte le parti.

Non siamo deboli se assumiamo psicofarmaci. Oggi nessuno basta più a sé stesso.

Noi della generazione degli anni 80 abbiamo un trauma che non accomuna tutte le altre generazioni: l’aspettativa, un’aspettativa violenta  che riguarda noi e i nostri possibili fallimenti. Un’eccessiva aspettativa da parte dei nostri genitori, un ipervalutazione e un iperinvestimento su di noi che alla fine non siamo poi così speciali.

Avevo già scritto in passato di questo tema ma non l’avevo collegato alla depressione. Invece questa sembra la sua più evidente causa.

Il tratto che caratterizza un giovane della mia generazione che poi in alcuni casi sviluppa questa patologia è quello del narcisismo. La ‘generazione Narciso’ è quella che non può sbagliare, che non accetta il fallimento e corre ai ripari proteggendosi per non sviluppare ansia, ipocondria e depressione.

La struttura narcisistica ci protegge da un potenziale fallimento che potrebbe essere fatale, dalle critiche che evitiamo attraverso post in cui giustifichiamo chi siamo, cosa facciamo e cosa mangiamo cosicché nessuno possa considerarci dei falliti.

Il fallimento però fa parte della storia evolutiva e pedagogica dell’essere umano e rifiutarlo è pericoloso per la nostra mente oltre che per il nostro corpo. Sono bastati 20 like per dormire sereno, è bastato scrivere su Linkedin che sono diventato account manager e ricevere i complimenti di tre o quattro persone per dare un senso alla mia giornata, è bastata una vendita in cui ho fatto leva sui punti deboli dei miei clienti, una foto in cui cito Proust o semplicemente lo sfoggio di qualche mia abilità fosse anche usare bene Instagram.

Nessuna condanna, non scrivo questo post per  puntare il dito contro qualcuno. Semplicemente dobbiamo esserne consapevoli, perdonare le nostre bugie, le nostre cadute, il nostro non arrivare mai.



domenica 21 gennaio 2024

Lavanderia

Scopa!
- Questa si chiama 'fortuna del principiante' bello mio...
- Intanto sto vincendo io, disse spostandosi il ciuffo nero dagli occhi.
Il vecchio abbozzò un sorriso forzato. La bocca si inarcava a fatica, era come se il suo viso a contatto con l'aria si fosse solidificato fino a mantenere un'espressione sempre uguale. Adesso però, forse per il calore che avvertiva in quella sala, aveva preso a sciogliersi, era più modellabile.
- 11 a 6, ho vinto!
Non erano i panni che giravano, non era nemmeno il rimbombare dei motori delle lavatrici e delle asciugatrici. Non era quel roteare che gli confondeva i pensieri. Era stata l'attesa che aveva preceduto l'arrivo di Giorgio, un bambino calabrese di circa 8 anni con un mazzo di carte in mano e il padre al seguito. In quel tempo lungo di attesa Antonio aveva visto tutto, sua moglie che indossava il vestito di pizzo nero con lo scollo a V, sentito suo padre che lo picchiava per aver usato il banco di scuola come slittino, la maestra Licata gli occhi sgranati di rimprovero, i suoi collant color carne e gli occhiali dalla montatura metallica. Aveva visto suo figlio appena nato e il fasciatoio con la nuvoletta che pendeva dal soffitto sul suo volto sereno. Aveva visto il gres grigio della camera da letto e la galleria Umberto I illuminata a festa, il negozio di saponi e quello dei legumi. Aveva visto le trasferte in Olanda e in Francia, il giorno della sua promozione, i suoi dipendenti inchinarsi ai suoi successi, la sua carriera 'illuminata' e le famiglie che aveva tenuto in vita nonostante la crisi. Infine, aveva visto se stesso, solo e senza una casa, dentro una lavanderia  con le luci al neon e un calore che svanisce quando qualcuno apre la porta.
Mentre pensava sentiva le lacrime, le sentiva sguazzariare dentro, ondeggiare alla ricerca di uno sfogo, le sentiva scontrarsi contro un viso marmoreo che non aveva più fori.
Da quando Laura non era più in casa la sua vita aveva fatto marcia indietro. Suo figlio aveva vinto. Non aveva tempo di occuparsi di loro, diceva. Si era sostituito alla legge, alla famiglia, alla vita di coppia. 
'Tu non mandi tua mamma in ospizio!'
'E perché? Ormai non siete in grado di gestirvi. Tu non sai fare niente e la mamma è andata fuori di testa'
 Antonio quel figlio l'aveva desiderato eppure adesso lo odiava. E non poteva parlare, né contraddire i suoi ragionamenti perché aveva un unico modo di esprimersi, quello della rabbia e della violenza.

'Vuoi la rivincita'?
Antonio riemerse dall'apnea e guardò Giorgio. Aveva la faccia paffuta e un'espressione buona. 
'Si è fatto tardi e i vestiti sono pronti da un pezzo'
'Sì ma non vorresti vincere?'
Antonio guardò il padre di Giorgio e vide che sorrideva. Anche il suo sorriso si sciolse e la sua bocca disegnò spigoli più armoniosi.
-I bambini vogliono vincere, mi disse. Anche i grandi dovrebbero voler vincere un po' di più in effetti.
Antonio rimase in silenzio mentre l'odore di bucato si mischiava alla puzza di scarpe vecchie, le centrifughe giravano e il sapone formava grappoli di bolle che non scoppiavano mai. Vincere... Chissà cosa poteva voler dire per un bambino, pensò. Nella sua vita quelle che aveva reputato le più grandi vittorie si erano poi rivelate le più grandi sconfitte. 
Si tolse la giacca, la poggiò sulla sedia e fece  a Giorgio cenno di dare le carte.

Forse hai ragione, voglio la rivincita.



mercoledì 3 gennaio 2024

Sala d'attesa

Il muro è bianco, come a marcare l’assenza di qualsiasi cosa. Solo punte di stucco che nascondono vecchi quadri o poster.
Il sole spento fa scintillare questo bianco e ne accentua la presenza. La luce della stanza rimarca la pazienza che ci metto a star qui, seduta immobile privata dai sogni della vita vera.
Nella mia sala d’aspetto non ho scelto io di entrare, eppure ci sono finita dentro insieme a queste ombre che non respirano quasi, chiuse in un silenzio di abitudine. Su questi muri anonimi posso proiettare qualsiasi cosa.
Nessuno mi accompagna, sento solo te che ti muovi dentro la mia pancia, facendomi il solletico. Non sopporti che io stia ferma e io non sopporto che tu stia fermo. Ti vedo già a schizzare acqua di mare sui bagnanti asciutti, ti vedo mentre te ne vai in giro con il tuo ciuffo spavaldo in cerca di vita. Io ti vedo fuori da qui, fuori da questo silenzio, ti vedo piangere, arrabbiarti, prendere decisioni impulsive, girare il mondo in cerca di un posto tuo. Io ti voglio, ti chiamo, ti sento. Ti vedo tutte le notti che mi soffi nel grembo e mi spieghi che sarai dispettoso e gioioso, che sarai la versione migliore di te.

Ti copro con le mani, ti abbraccio e sento un brivido nel ventre che mi fa sorridere. Una donna sulla trentina entra nella sala, nessun tratto distintivo, piatta come il bianco dei muri, capelli colorati di un marrone sbiadito e gambe magrissime per il peso che trascina. Io la fisso mentre sfila e lei distoglie subito lo sguardo. Un'altra ombra che non saluta nemmeno, non un'espressione né un accenno di umanità, solo una pancia tonda e gonfia che la precede. Il rumore dei tacchi sul pavimento mi fa pensare che in verità suo figlio stia bussando, stia picchiando sulla pancia per fuggire. La donna si siede e prende in mano il cellulare, usando un'indifferenza innaturale. Indossa degli stivaletti scamosciati marroni e un vestito elegante bianco con strass sul colletto, è giovane inutilmente perché è pallida e inespressiva come queste mura che ho davanti. Il pavimento è di mattoni lisci vellutati, sfibrati dal tempo. Prima qui c'era vita, c'erano cose semplici che restavano nella memoria, forse delle feste, dei valzer, delle gare contro il tempo, forse c'era una luce migliore, c'erano sogni in queste fughe sfocate, c'erano persone, c'era vita. Adesso cosa aspettiamo in questa sala?
Vieni qui bambino farfalla, bambino leggero, limpido, libero. Ti copro io da questo bianco abbagliante, da questo mondo insolito fatto di formalità e convenevoli. Tu non ti prendi sul serio, non tentenni perché sai cosa vuoi. Perditi se vuoi, qui dentro ci siamo finiti ma stiamo solo aspettando. Una volta fuori sarai libero di perderti e andare ovunque tu voglia, dove ti sentirai te stesso e potrai sentirti libero, non sentirti in colpa perché devi per forza essere. Potrai godere delle meraviglie del mondo, dei luoghi incantanti e delle persone che splendono di amore, potrai nutrirti di te stesso e degli altri nel modo più sincero che puoi.
La dottoressa viene fuori insieme alla 'famiglia ombra' che si trascina sul pavimento lasciando i segni di scarpe liquefatte, tutte uguali, vicine nella forma e nel peso.

Ti guardo e ti dico 'finalmente'.

Adesso ci siamo noi, regaliamoci questa ecografia. Voglio vederti, sì, voglio vederti.
"Dottoressa, adesso tocca a noi. Siamo pronti!"




venerdì 20 ottobre 2023

Zio Carmelo

 Soprattutto la voce mi rimbomba nella testa, con la sgraziata raucedine di chi ha fumato stecche intere di sigarette per una vita. La voce che esplode in un boato di ospitalità e affetto non appena mi vede. 

"Beella, Lauretta, come stiamo? Ti ho pensato! Vieni che ti faccio vedere una cosa speciale..." 

Era questa la sua accoglienza, tutte le volte. Quando tornavo al Bosco era lui che dovevo incontrare, lui e Donna Rosa. E non so come si fa a spiegare il Bosco se non ci si è mai stati. 

Il Bosco è zio Carmelo, con i suoi esperimenti culinari e la leggerezza della vita da 'comune', il suo orologio con il pallone dei Mondiali del '92, i suoi occhi piccoli e brillanti, attenti a tutto e senza giudizio, una marea di piante coltivate in un pezzo scosceso di terreno acquistato quando dalla Svizzera si trasferì in Italia, trasformato in un luogo incantato pieno di fiori, biblioteche, un teatro, una cantina, altalene, laghetti e tre casette per le sue tre figlie. Carmelo non mi è bastato mai, è per questo che voglio ricordarlo, per non perdere nemmeno un pezzo della magia che mi ha regalato. 

Oltre alle meravigliose giornate dedicate alla Pasquetta, mi sono trovata al Bosco in estati torride piene di lucciole e arte, quando camminavo in strade buie con i mie amici di una vita con la faccia ricoperta di macchie di tempere, senza trucco né maschere, solo avvolta dalla poesia delle parole, della pittura, della musica, della natura. 

Ho mangiato il risotto alla borragine e quello alla provola di zio Carmelo e la pasta fagioli e cozze di Donna Rosa. Ci aveva insegnato a vedercela da soli per lo più, era amorevole e ospitale ma anche fintamente burbero e spesso avvertiva il bisogno dei suoi spazi di libertà. Diceva sempre che il Bosco era un luogo da coltivare e noi di casa Mazzola dovevamo fare di tutto per non farlo morire. "Il Bosco va coltivato", ci diceva...

Carmelo è vita, è un sogno che si realizza il mattino dopo con la costruzione di un teatro a cielo aperto che Casa Mazzola ha contribuito a progettare e ultimare, è un mondo di sapere, di cultura in tutti i campi, è una sfida uno contro tutti a Trivial, è una grappa fatta in casa, un vino bianco e un vino rosso di guarnaccia, è una cornice di edera e un melone bianco dolcissimo, è una brocca di acqua riempita da una sorgente, un cesto di vimini pieno di pomodorini e verdure, è la spesa ragionata tutte le mattine dopo un'attenta conversazione con Rosa sul menu del giorno, è una canottiera azzurra, un paio di gambe bianche magre, "Il nome della rosa" di Umberto Eco, la persona che mi ha dato i consigli giusti quando volevo cambiare facoltà ed ero demotivata. 

Zio Carmelo è arte, è il ragazzo della via Gluck, è Bosc
h, 'Cent'anni di solitudine', un cruciverba sempre pieno, un paio di occhiali demodé e un'intelligenza ammaliante.

Zio Carmelo era per me perseveranza. Faceva la vita dell'eremita ma era la persona più incisiva che conoscessi. Ha creato un mondo perfetto dal nulla e gli ha regalato un'aura poetica, quasi divina, sgombra di pregiudizi. Non invecchierà mai, non morirà mai. 

Zio Carmelo mi ha insegnato a pesare tutto, a dare valore alle cose importanti, come mia madre, come mio padre. 

Zio Carmelo è un pezzo della mia famiglia che se ne va perché si è stancato di un modo in declino. 

Ci trattava come figli quel genio visionario, non era una persona qualunque, immaginava il suo mondo ideale e lo realizzava poco dopo. Sdrammatizzava sempre, era rude a volte ma aveva un cuore enorme. 

Io ho avuto Carmelo, l'ho amato e lo ricorderò per sempre.


Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu (Official Video) - YouTube







Archivio blog