mercoledì 3 gennaio 2024

Sala d'attesa

Il muro è bianco, come a marcare l’assenza di qualsiasi cosa. Solo punte di stucco che nascondono vecchi quadri o poster.
Il sole spento fa scintillare questo bianco e ne accentua la presenza. La luce della stanza rimarca la pazienza che ci metto a star qui, seduta immobile privata dai sogni della vita vera.
Nella mia sala d’aspetto non ho scelto io di entrare, eppure ci sono finita dentro insieme a queste ombre che non respirano quasi, chiuse in un silenzio di abitudine. Su questi muri anonimi posso proiettare qualsiasi cosa.
Nessuno mi accompagna, sento solo te che ti muovi dentro la mia pancia, facendomi il solletico. Non sopporti che io stia ferma e io non sopporto che tu stia fermo. Ti vedo già a schizzare acqua di mare sui bagnanti asciutti, ti vedo mentre te ne vai in giro con il tuo ciuffo spavaldo in cerca di vita. Io ti vedo fuori da qui, fuori da questo silenzio, ti vedo piangere, arrabbiarti, prendere decisioni impulsive, girare il mondo in cerca di un posto tuo. Io ti voglio, ti chiamo, ti sento. Ti vedo tutte le notti che mi soffi nel grembo e mi spieghi che sarai dispettoso e gioioso, che sarai la versione migliore di te.

Ti copro con le mani, ti abbraccio e sento un brivido nel ventre che mi fa sorridere. Una donna sulla trentina entra nella sala, nessun tratto distintivo, piatta come il bianco dei muri, capelli colorati di un marrone sbiadito e gambe magrissime per il peso che trascina. Io la fisso mentre sfila e lei distoglie subito lo sguardo. Un'altra ombra che non saluta nemmeno, non un'espressione né un accenno di umanità, solo una pancia tonda e gonfia che la precede. Il rumore dei tacchi sul pavimento mi fa pensare che in verità suo figlio stia bussando, stia picchiando sulla pancia per fuggire. La donna si siede e prende in mano il cellulare, usando un'indifferenza innaturale. Indossa degli stivaletti scamosciati marroni e un vestito elegante bianco con strass sul colletto, è giovane inutilmente perché è pallida e inespressiva come queste mura che ho davanti. Il pavimento è di mattoni lisci vellutati, sfibrati dal tempo. Prima qui c'era vita, c'erano cose semplici che restavano nella memoria, forse delle feste, dei valzer, delle gare contro il tempo, forse c'era una luce migliore, c'erano sogni in queste fughe sfocate, c'erano persone, c'era vita. Adesso cosa aspettiamo in questa sala?
Vieni qui bambino farfalla, bambino leggero, limpido, libero. Ti copro io da questo bianco abbagliante, da questo mondo insolito fatto di formalità e convenevoli. Tu non ti prendi sul serio, non tentenni perché sai cosa vuoi. Perditi se vuoi, qui dentro ci siamo finiti ma stiamo solo aspettando. Una volta fuori sarai libero di perderti e andare ovunque tu voglia, dove ti sentirai te stesso e potrai sentirti libero, non sentirti in colpa perché devi per forza essere. Potrai godere delle meraviglie del mondo, dei luoghi incantanti e delle persone che splendono di amore, potrai nutrirti di te stesso e degli altri nel modo più sincero che puoi.
La dottoressa viene fuori insieme alla 'famiglia ombra' che si trascina sul pavimento lasciando i segni di scarpe liquefatte, tutte uguali, vicine nella forma e nel peso.

Ti guardo e ti dico 'finalmente'.

Adesso ci siamo noi, regaliamoci questa ecografia. Voglio vederti, sì, voglio vederti.
"Dottoressa, adesso tocca a noi. Siamo pronti!"




Nessun commento:

Posta un commento