mercoledì 13 marzo 2013

Non avere più voglia di inviare il curriculim

 La città, disperazione organizzata, muoveva membra, articolava parole, accoglieva alcuni come un grembo, altri li sputava fuori, come semi d’uva. (Wu Ming, Previsioni del tempo)

-Ritorneremo nella nostra città? 

-Non lo so, ma sarebbe bello avere la possibilità di tornare a farne parte. A Palermo ci siamo nati ma a Palermo non contiamo niente. 

La sensazione che abbiamo è quella di vivere in un luogo gestito solo da altri, mai da noi. 

L’asfalto è liscio qui. Si scivola, in questa città. E noi siamo come tanti incidentati che negli anni hanno imparato a mantenere l’equilibrio. 

*

Da un po’ di tempo a questa parte, ci siamo stancati anche di inviare il curriculum. In questi ultimi mesi, è mia zia che mi sostituisce nella ricerca di nuovi stimoli e nuove realtà lavorative, è lei che cerca nuovi 'indirizzi' per conto mio. Puntualmente, mi invia dei messaggi pieni di nomi e indirizzi di posta elettronica. Allora, dato che non devo fare alcuno sforzo, faccio un copia incolla della mia lettera di presentazione alle aziende, scrivo due righe e tac!, invio. 

In tanti si sono stancati. E credo che nessuno possa fargliene una colpa. Nel profondo, penso che noi tutti della generazione precaria, nutriamo un forte desiderio di rivalsa, una voglia implacabile di prenderci ciò che ci spetta, un bisogno legittimo di contare qualcosa. Non è auto-indulgenza, ma solo la rivendicazione di un diritto, un forte impulso a non reprimere la sete di ambizione, lavoro, riconoscimento professionale e autostima. Quest'ultima, poi, cade a pezzi di questi tempi. Non avere più voglia di inviare un curriculum è l'ultimo stadio di questa ricerca ossessiva di lavoro alla quale siamo dediti quotidianamente.

Non diamo la colpa a nessuno, noi. Lo sappiamo che aziende non possono permettersi assunzioni e che, a dirla tutta, stanno lottando per non licenziare il personale interno. Ma potrebbero almeno rispondere alle e-mail. Se nessuno risponde non sapremo mai se e come dobbiamo migliorarci, quali sono i requisiti che dobbiamo possedere per ottenere quel lavoro. Non sapremo mai cosa dobbiamo fare. Abbiamo forse sprecato tempo. Un mare di tempo a scrivere, un mare di tempo a iscriverci a siti e agenzie interinali, un mare di tempo a memorizzare password per accedere a questi siti.

*

Ritorneremo nella nostra città? Non lo so. E quando mi poni questa domanda mi viene in mente un film visto tempo fa, un film di Antonioni del 1960, "L’Avventura", ambientato in Sicilia. Mi ricordo della sensazione che ho provato dopo averlo visto, ricordo perfettamente la descrizione, da parte di un grande regista, di una terra che non era "sua". Antonioni l’aveva descritta come una terra chiusa, ostile agli stranieri, ai turisti, una terra gelosa di sé stessa, una terra in cui è facile perdersi. E forse aveva ragione. In Sicilia non li vogliamo i turisti, non li abbiamo mai voluti qui i turisti. Questa terra è nostra, e ne siamo gelosi. Qui la gente vuole restare così com’è, vuole continuare ad occuparsi della madre, del padre e dell’amore. Noi viviamo di cose essenziali, ed essenziale è il nostro modo di parlare e di esprimerci. La Sicilia è bella perché è circondata per intero dal mare. Lei è bella perché è sola, e soli sono quelli che la abitano




LE 22 REGOLE DELLA PIXAR PER RACCONTARE UNA BELLA STORIA


Curiosando tra i vari tweet, ho trovato questo utile articolo in cui vengono elencate quelle che sembrano essere - secondo la Pixar - le regole per scrivere storie perfette. 
La scorsa settimana Emma Coats, story artist e autrice che ha lavorato con Pixar, hapubblicato su Twitter le 22 regole “segrete” che il colosso dell’animazione segue per scrivere storie indimenticabili. La maggior parte di queste sembrano quasi degli ordini rivolti agli autori, che devono provare un certo tipo di emozioni nei confronti dei personaggi che stanno inventando, in modo che anche gli spettatori possano provarle. Di seguito le regole tradotte in italiano:

1) Ammira un personaggio perché continua a provarci sempre di più, non per i suoi successi.
2) Concentrati su quello che ti interessa in quanto spettatore, non su quello che ti piace come autore. Sono due cose diverse.
3) La trama è importante ma non ti renderai conto di cosa parla la tua storia finché non sarai arrivato alla fine. E a quel punto la devi riscrivere.
4) C’era una volta ___. Ogni giorno ___. Un giorno però ___. A causa di questo, ___. E alla fine ___.
5) Semplifica. Concentrati. Gioca con i personaggi. Evita gli incovenienti nel tragitto. Crederai di perdere cose importanti ma in realtà ti renderai libero.
6) Con che cosa si sente a suo agio il tuo personaggio? Costringilo a fare il contrario. Sfidalo. Come reagisce?
7) Pensa al finale prima della parte centrare. Davvero. I finali sono difficili da fare, pensaci sin da subito.
8) Finisci la tua storia, anche se non è perfetta. (…) La prossima volta andrà meglio.
9) Quanto ti senti bloccato, fai una lista di cose che NON DOVREBBERO succedere la prossima volta.
10) Smonta le storie che ti piacciono. Quel che ti piace di loro è una parte di te stesso: la devi riconoscere prima di utilizzarla.
11) Scrivere le tue storie ti aiutano a metterle apposto. Se ti limiti a tenerle in mente, rimangono un’idea perfetta e non le condividerai mai con nessuno.
12) Scarta la prima idea che ti viene in mente. E anche la seconda, la terza, la quarta, la quinta – togli di mezzo le ovvietà. Sorprenditi.
13) Dai opinioni forti ai tuoi personaggi. (…)
14) Perché devi raccontare proprio questa storia? Cosa ti fa pensare che se lo meriti così tanto? Questo è il punto del discorso.
15) Come ti sentiresti in quella situazione, se fossi uno dei tuoi personaggi? L’onestà dà credibilità alle situazioni più improbabili.
16) (…) Dacci un motivo per tifare per i tuoi personaggi. Cosa succede se falliscono? Valuta le varie possibilità.
17) Nessun lavoro è mai tempo sprecato. Se una cosa non funziona, passa ad altro e vai avanti: ti tornerà utile più avanti.
18) Devi conoscere te stesso: la differenza tra impegnarti al massimo e l’agitarsi per nulla. La storia serve a metterci alla prova, non a raffinarci.
19) Fare andare nei guai un personaggio a causa di una coincidenza va bene; farli uscire dai guai per una coincidenza è un imbroglio.
20) Esercizio: fai a pezzi un film che non ti piace. Prendi questi blocchi narrativi e rimettili in un altro ordine fino a fare una storia che ti piaccia.
21) Ti devi identificare con il tuo personaggio, non puoi limitarti a scriverlo. Cosa ti spingerebbe a comportarti in un certo modo?
22) Qual è l’essenza della tua storia? Come si può riassumere? Se lo sai, puoi cominciare da lì.

giovedì 31 gennaio 2013

'La migliore offerta' di Giuseppe Tornatore

"Il dramma è la vita con le parti noiose tagliate". (A. Hitchcock)

Una delle caratteristiche principali di una buona sceneggiatura è la presenza, all’interno di essa, di un tassello apparentemente insignificante, che alla fine risolve la storia, la scioglie. Una storia è completa e raccontata bene nel momento in cui dimentichiamo quel particolare che servirà alla risoluzione. In pratica, grazie a questa sorta di deus ex machina, lo spettatore riesce a capire se i vari tasselli formano un puzzle perfetto o se è costretto a forzare dei pezzi.  
Nel film di Tornatore questo 'tassello apparentemente insignificante' non c’è. La solennità e la magnificenza del film cozzano con la povertà assoluta della narrazione. Eccezion fatta per la splendida e 'sprecata' interpretazione di Geoffrey Rush, per la scenografia e le musiche di Ennio Morricone, il film è una vera delusione. 
Durante la conferenza stampa tenutasi negli studi Rai di Palermo il 3 gennaio, Tornatore spiega che ‘La migliore offerta’ nasce dall’intreccio di due storie. La prima, pensata nel 1984, aveva come protagonista una ragazza agorafobica e l’altra un battitore d’aste. Il regista sostiene di aver trovato, nel tempo, il modo per intrecciarle e unificarle.
Questo spiega la difficoltà nella narrazione e le forzature del film. Claire, se all’inizio sembra un fantasma problematico, ci appare poi solo come una bambina capricciosa e viziata. Lo spettatore si chiede cosa spinga il signor Oldman a perdere tempo con lei. Forse la sua bellezza e il mistero che emana. Ma sarebbe una spiegazione riduttiva e poco credibile.
Il tema dell’agorafobia non è affatto funzionale allo sviluppo del film. Al contrario, tutto il resto viene asservito a questo tema che Tornatore voleva per forza trattare. Il protagonista viene picchiato dai ragazzi del bar perché Claire possa correre da lui e dimostrare di aver sconfitto la malattia. 
Paradossalmente, se l’azione fosse stata motivata da un interesse economico del signor Oldman, da un suo interesse viscerale per le opere d’arte e dall’eccitazione per aver scoperto un casale con un mucchio di opere d’arte antica, la storia avrebbe avuto più senso. Ma l’unione di queste due figure, l’agorafobica e il battitore d’asta, risulta forzata e poco credibile. 
Cosa interessava a Tornatore? La storia d’amore? Le aste? Le opere d’arte? 
Se Tornatore non avesse adottato come unico punto di vista quello del protagonista, e avesse comunicato preventivamente agli spettatori le intenzioni di Claire, forse l’avrebbe appassionato di più alla sua storia. Lo spettatore avrebbe preso le parti di Oldman prima della fine del film, e si sarebbe sentito parte della sua vita. Ma, fino alla fine, si è costretti a percepire tutto con il massimo distacco, non si parteggia per nessuno, non si prendono le difese di nessun personaggio. Non è una storia pensata per lo spettatore, oltre ad essere piena di tempi morti e figure poco definite e funzionali. 
Fino alla fine, la storia rimane la storia di un altro. E l’amore, rimane puro piacere estetico.




sabato 26 gennaio 2013

Perché preferiamo Dexter al Papa



Il nostro è un periodo storico in cui l’etica cristiana è completamente superata, in cui quello che manca, all’interno della società, non è il concetto di bene, ma quello di giustizia. Non sappiamo che farcene di preti che predicano bene e razzolano male, del Vaticano che possiede immobili e oro, e nel frattempo parla di carità. Non sappiamo che farcene degli insegnamenti della chiesa. È un concetto più alto quello che ci interessa: quello della giustizia.

Il governo nazionale e i singoli poteri locali hanno cercato di inserire la giustizia e la difesa dei cittadini in cima alla lista degli impegni e delle promesse da mantenere, hanno tentato di farsi portavoce di questa esigenza collettiva. Ma non ci sono riusciti e non ci riusciranno mai, se non infrangendo la legge.
La nostra paura dell’‘altro’ si traduce sempre di più in una crescente ritirata dallo spazio sociale. 
Abbiamo bisogno di essere difesi da qualcuno, da sempre. Ora più che mai. 
Sappiamo perfettamente cosa è il bene e cosa il male. Vogliamo solo che il bene venga realizzato e il male eliminato.
Per questo abbiamo sempre avuto bisogno di eroi. 

Di questi tempi, un eroe - ben diverso da quelli classici - riempie le giornate di molte persone: è Dexter
Un successo da non crederci.
Dexter è un serial killer ‘buono’, un giustiziere dalla mente contorta, un personaggio che non convince fino in fondo, di cui però non riusciamo a fare a meno. Una volta entrato nella nostra vita, deve rimanerci. Perché ci serve.
Nonostante sia un serial killer, dunque quanto di più ripugnante possa esistere nell’immaginario collettivo,  è un personaggio positivo. Anche Dexter ha un suo codice, dei comandamenti impartiti dal padre Harry nel corso della sua vita, delle regole che hanno il solo scopo di incanalare i suoi impulsi omicidi soltanto verso chi se li merita, ovvero i criminali.

Perché anche i ‘buoni’ amano Dexter? 
Probabilmente perché hanno bisogno - almeno nella finzione - che il mondo vada per il verso giusto, che quello che gli hanno insegnato genitori, preti e maestri, trovi una realizzazione concreta, trovi la sua applicazione almeno in una delle realtà possibili, seppur fittizia.

La gente ha estromesso ogni valore ‘reale’ dalla propria vita - dove per valore reale si intende un qualsiasi valore suggerito da personaggi reali - per fare spazio al fantastico mondo dell’ ‘etica irreale’. La politica e la religione non ci interessano più da quando abbiamo avuto la prova che ciò che accade all’interno di questi due mondi è solo finzione. Finzione, non meno di quanto possa esserlo una serie televisiva.



mercoledì 14 novembre 2012

Colloquio 'importante' ovvero la fine di un sogno...

- Guardi, voi ragazzi siete convinti di poter iniziare dall’alto. Per scalare una montagna dovete partire dal basso.
- Io questo lo so. Il problema è che non abbiamo la possibilità di partire dal basso. Se io potessi, scriverei per un giornale di provincia o per quello della mia città. Ma lei crede che abbiano bisogno di me?
- No, ma voglio dire non può pensare di partire dalla vetta. Il nostro è un giornale di serie A.
- E perché non può mettermi alla prova anche se è un giornale di serie A?
- Ma lei non ha esperienza, deve fare la gavetta.
- Ma se tutti dicono così, come faccio a fare esperienza? Io scrivo, ho scritto delle cose e continuerò a farlo. Lei non sa nemmeno come scrivo. Come fa a dire questo?
- Non so come scrive ma io, prima di arrivare qui, facevo il correttore di bozze. Mi davano pochi soldi per fare un lavoro del cavolo. Sa cosa vuol dire passare la notte a correggere cartelle? Poi diventai il più bravo correttore di bozze della città, facevo 40.000 battute all’ora. Dovevo anche correggere gli accenti e tutti facevano il solito errore di mettere l’accento grave nella parola ‘perché’, invece ci va quello acuto. Allora inventai un comando del pc che automaticamente correggeva questo errore. Videro che ero in gamba, quindi mi diedero un lavoro migliore. Oggi sono il direttore dello stabilimento di uno dei più grandi quotidiani nazionali.
- Scusi se mi permetto, ma se non avessero avuto i soldi per pagarla, non sarebbe mica rimasto lì. Anche se fosse stato il più bravo. Le voglio dire che anch’io credo di avere un minimo di talento ma non ho le stesse possibilità che ha avuto lei in passato, non posso averle perché nessuno vuole mettermi alla prova. Lei crede che io stia ferma a casa a girarmi i pollici? Ieri sono arrivata fuori città per consegnare un curriculum e non mi hanno nemmeno aperto la porta. Lei sarà stato il più bravo correttore di bozze del mondo ma ha avuto la possibilità di esserlo.
Io non credo che sia sbagliato partire dall’alto. È veramente difficile trovare qualcuno che abbia ancora un sogno. Vedo troppa rassegnazione intorno a me, quindi mi sento fortunata a credere ancora nelle mie capacità. Io credo che il talento vada premiato, che nelle redazioni dei giornali bisognerebbe introdurre gente giovane che sa gestire le nuove tecnologie, gente con idee nuove. È sbagliato quello che dice lei, è un ragionamento fin troppo ‘italiano’. Vuole dirmi che, se un giorno lavorerò per il suo quotidiano, avrò già sessant’anni? Spero proprio di no.
- Io credo che voi ragazzi dobbiate sempre e per forza prendervela con qualcuno. Avete bisogno sempre di dire ‘è colpa vostra’, credete sempre che il mondo cospiri contro di voi. Ma non è così. E poi avete un problema ancora più grande, fate confusione tra sogno e illusione. 
- Io non la vedo così come la vede lei. Credo che il problema principale sia che ci sentiamo superflui perché nessuno ha bisogno di noi. Lei come si sentirebbe? Chiunque, sentendosi superfluo, comincerebbe a dubitare di sé stesso, a porsi delle domande e inevitabilmente ad avere un calo dell’autostima. Chiunque si sentirebbe sconfitto sapendo che nessuno ha bisogno di te. E sa qual è la cosa più assurda? Che l’unica cosa che, dopo la realizzazione personale raggiunta con il lavoro, ci fa recuperare l’autostima, è l’amore, l’amore delle persone che ci stanno accanto. Circondarci di persone che ci vogliono bene ci fa recuperare un po’ di autostima. Ma è diventato sempre più complicato. Io, la sera vorrei uscire con i miei amici, ma non posso perché li ho lasciati a Roma, a Palermo, a Barcellona, a Catania, a Perugia. Io ho costruito e distrutto mille volte, sempre per lo stesso motivo: la ricerca del lavoro. Sono venuta qui perché avevo bisogno di non perdere di nuovo quello che avevo creato fino ad ora. Altrimenti io e il mio ragazzo ci saremmo lasciati. E lo sa quante persone si lasciano per ché uno va in America a cercare lavoro e l’altro non ha i soldi per farlo e resta a casa da mamma e papà? Lei crede che a trent’anni sia facile vivere con mamma e papà? 
- Lo so, lo so. Ma l’emigrazione c’è sempre stata...
- Sì, c’è sempre stata. Ma prima emigravi una volta. Trovavi un lavoro e ti ambientavi, ti facevi una casa, degli amici e così via. Questo quando? Dalla fine dell’Ottocento in poi. Ma adesso non è più così, studi in un posto, poi ti sposti in un altro, dopo tre mesi ti scade il contratto e fai le valigie, e così via. 
- Senta, l’errore più grande che abbiamo commesso dalla fine del Settecento in poi è stato quello di considerare la felicità come un diritto, e di credere che se non siamo felici è colpa di qualcun altro. Ora quello che le consiglio io è di fare qualsiasi mestiere, e di farlo al meglio. Di fare la barista, che male c’è, ma farlo nel modo migliore, fino a diventare la migliore barista di questa città. Deve farsi piacere il suo lavoro più che cercare il lavoro che le piace.
- Direi che è un bellissimo consiglio ma un po’ da paraculo, nel senso che è l’unica scelta che mi rimane. Ma... ancora una cosa. Mentre noi parliamo della situazione dell’editoria e del giornalismo in Italia, c’è un sacco di gente che manifesta in piazza, gli studenti a Torino hanno occupato la Provincia, a Roma ci sono stati scontri con la polizia, a Palermo e Napoli hanno occupato le stazioni. Oggi è la giornata della protesta mondiale. E non dica che dobbiamo per forza prendercela con qualcuno. La violenza è sbagliata, sia chiaro, la strumentalizzazione poi, figuriamoci. Ma vengono i brividi ancora quando si vedono le cariche della polizia contro studenti inermi. Vengono i brividi ora, perché ora più che mai studenti e poliziotti stanno dalla stessa parte. 
Cosa rimane da fare se non protestare? Cosa aspettiamo a cambiare le cose? Lei ha due figli e dice, scherzando, che non sa che farsene perché un lavoro non lo trovano nemmeno loro. Ma loro cosa pensano? Lo sa per cosa protestano gli studenti? Perché non solo hanno tagliato i fondi all’istruzione, ma per di più si rendono conto che tutte le persone che hanno finito la scuola e l’università da un pezzo, sono posteggiate a casa e senza un lavoro. Perché forse si chiedono che futuro potranno mai avere in questo paese. Lei dice che non se la sente di dire ai suoi figli di andare via da questo paese. Invece dovrebbe. 
Ha idea di quanto si siano arricchite le università pubbliche a spese dei nostri genitori? Perché non ci hanno insegnato niente che fosse necessario per il mondo del lavoro? Perché non serviamo a nessuno?






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