Storie vecchie di migranti.
La mia esperienza pubblicata su
http://www.retenear.it/2012/10/come-un-uomo-sulla-terra/
lunedì 15 ottobre 2012
martedì 2 ottobre 2012
Una comune mattinata da precari
Quella mattina avevo bisogno di soldi. Per andare a Torino avevo comprato un biglietto da Roma andata e ritorno Trenitalia ed era costato cento euro.
Non lavoravo, facevo collane e orecchini e, soltanto in due occasioni avevo avuto il coraggio di allestire alla meno peggio una bancarella per strada. La prima volta era andata abbastanza bene perché ero in un luogo sperduto, la seconda ero in regola perché alla festa di Liberazione bastava versare una piccola quota ad un’associazione di artigiani.
A Roma, c’è un posto dove è più facile vendere: davanti all’univerisità. C’è un viavai di ragazzi e ragazze che ciondolano per le strade. Mi ero portata tutto in uno zaino, avevo qualche paio di orecchini e un bel po’ di collane. Avevo approfittato della compagnia di una mia amica che doveva vendere un libro.
- Domani vado all’università.
- Vengo con te!
- Tu che devi fare?
- Io devo vendere la mia bigiotteria, e tu?
- Io devo vendere un libro ad una ragazza.
- Brava, ti dai da fare. E quanto lo vendi?
- Cinque euro, perché sono fotocopie.
- Ah. Ma ti conviene spendere tre euro di biglietto Atac per guadagnare solo 5 euro. In pratica così ne guadagni solo due!
- Vabbè, mi ci compro gli assorbenti.
Così era andata la conversazione.
Ci eravamo svegliate presto perché la ragazza del libro era in facoltà fino alle dieci.
Se i giorni precedenti, a Roma, si erano sfiorati i 40 gradi e avevamo dovuto tenere le persiane chiuse per quanto era accecante il sole, quel giorno non solo le nuvole si affollavano nel cielo, ma si era messo a piovere di brutto.
Arrivate sul posto, avevamo deciso di allestire il tutto vicino ad un bar, coperte da una siepe sia per non farci rimproverare sia per appoggiare l’ombrello da qualche parte, in modo tale da poter riparare la merce. Ne avevamo solo uno, quindi noi l’acqua ce la prendevamo, e come!
Avevo appena finito di posizionare la bigiotteria su una bacheca di sughero, incastrato i miei bigliettini da visita tra una collana e l’altra, trovato un modo per non bagnarmi e vinto la timidezza, quando si avvicinava un tipo con il pizzetto bianco, un uomo di mezza età.
- Qui non potete stare, è pericoloso!
- Come pericoloso?
- Si vede che siete nuove tu e la tua amica. Qui nun se po’ sta’.
- E perché ‘nun se po’ sta’?
- Perché quelli del bar non vogliono. Ma voi ce l’avete la partita IVA?
- La partita che? Secondo te c’ho la partita IVA? Sto cercando di vendere quattro cazzate perché sono disoccupata da mesi. Per aprirmi la partita IVA mi servirebbe un mutuo!
- Vabbè, vabbè, ho capito. Ma da qui ve ne dovete annà.
- Mi scusi ma lei chi è?
- Io sono un artigiano, mi metto sempre qui a vendere, faccio ‘sto lavoro da ‘na vita.
Ho pensato subito che mi voleva fottere. Ho pensato che ce l’avesse con me perché pioveva e io avevo sfidato la pioggia e lui no, ho pensato che mi voleva fottere il lavoro, che mi voleva cacciare per evitare la concorrenza. Poi però ho detto, ‘e anche se fosse’? Davvero devo rischiare che mi facciano la multa o che mi sequestrino la merce?
- E dove ci dovremmo mettere, allora?
- Potete provare lì, sulla strada.
Sulla strada. Bah.
Comunque ci eravamo guardate negli occhi e avevamo deciso di spostare tutto, tutto precario, la roba avvolta in un telo, gli immigrati che facevano lo stesso lavoro erano lì a deriderci e io pensavo che non era il lavoro per me. Ci eravamo piegate in due dalle risate tanto era buffa la situazione, eravamo impacciate, per non bagnarci coprivamo la merce con i nostri corpi, non avremmo fatto un soldo nemmeno pregando la gente. Se avessimo chiesto l’elemosina sarebbe andata meglio.
Avevamo allestito di nuovo il pannello di sughero, la gente passava e ci scansava come la peste. Avevo provato a porgere un bigliettino da visita ad una signora dicendole ‘Signora posso lasciarla il mio bigl...’ ma non mi aveva fatto finire la frase. Mi aveva liquidato con un ‘no no no grazie’ ed era scappata. Aveva preso a piovere forte e ormai non vedevo più. Allora ho tolto gli occhiali.
Potevo vendere solo quel giorno, il giorno successivo sarei partita per Torino e avevo bisogno di soldi.
Niente. Non si era avvicinato nessuno. Anzi, uno si era avvicinato, quello di prima. Quello col pizzetto bianco. Aveva detto:
- ragazze, qui tra poco, appena smette di piovere, arrivano gli sbirri in borghese e vi sequestrano la merce.
- Addirittura, è una cospirazione allora?
- No davvero ragazze, qui hanno tutti la licenza per vendere.
- Ma se ci sono solo immigrati, e magari pure senza permesso di soggiorno!
- No, non è così. Io questo lavoro lo faccio da sempre.
- Vabbè, ora andiamo, noi volevamo stare solo due ore, vendere qualcosa. Io sono disoccupata, e che devo fare? Ho cercato di inventarmi ‘sto lavoro. Ho una laurea specialistica in Editoria e Giornalismo, e lo sai che ci faccio con quella? Lo puoi intuire da solo.
- Avete ragione ma da qui ve ne dovete anna’.
La ragazza straniera era arrivata. Era slava o turca, non so. Parlava strano. Voleva il libro, quello che costava cinque euro, le fotocopie insomma. La mia amica le aveva spiegato il programma, le aveva detto quali erano gli argomenti più importanti. Avevano parlato per venti minuti circa. Io nel frattempo avevo smontato tutto. Tutto. Avevo deciso di mollare.
Il ritorno lo abbiamo fatto a piedi, non volevamo dare nemmeno un centesimo a quelli dell’Atac.
Siamo arrivati a San Lorenzo. La mia amica aveva visto su Internet un annuncio, un’offerta di lavoro in una caffetteria.
Entrate nella caffetteria di Piazza dei Siculi, la mia amica ha detto:
- Salve, ho visto che avete bisogno di una barista.
- Sì (tono scazzato)
- Volevo qualche informazione perché sono interessata a questo lavoro.
- Ah, ma tu lo sai fare questo lavoro?
- Sì, lo faccio da quattro anni.
- Ah
- Volevo sapere quali sono i turni e quant’è la paga mensile.
- Tutti i giorni, compresi sabato e domenica
- Ok, e la paga?
- No, torna un altro giorno. Per ora c’è confusione.
Ho pensato: ‘ma mica gli sta chiedendo un favore! Perché questo stronzo se la tira così tanto?’
Non abbiamo mai saputo quanto le avrebbero dato se avesse accettato di lavorare per questi figli di puttana.
Ci eravamo fermate in edicola per comprare il ‘Porta Portese’. Nel frattempo si era avvicinato un tipo e aveva chiesto:
- Scusate ragazze, per caso avete una sigaretta per un mio amico che oggi è senza un piede?
- Eh?
- per caso avete una sigaretta per un mio amico che oggi è senza un piede?
Avevamo sentito bene.
- No
- Sicuro?
- SICURISSIMO!
Arrivate a casa, abbiamo preso a sfogliare il Porta Portese. Non c’era l’inserto ‘Lavoro’.
- Ma non c’è l’inserto del lavoro! Ma come mai?
- Che ne so, forse non c’è lavoro!
- Assurdo, solo immobili e motorini, immobili e motorini!!! E niente lavoro! Solo due pagine di offerte di lavoro, all’interno.
La prima scritta della pagina delle offerte di lavoro diceva:
IMMIGRATI. COME DIVENTARE IMPRENDITORI.
Abbiamo riso.
lunedì 1 ottobre 2012
Offerte
Il supermercato detta la tua dieta.
Se il riso è in offerta cucini riso con verdure, se la pancetta è in offerta fai la carbonara, se il vino è in offerta fai un mega aperitivo, se per caso la pasta è in offerta inviti anche qualcuno a cena. Roba da intenditori.
Nessuno meglio di noi precari degli anni ottanta sa fare la spesa. Noi sappiamo cosa mangiare perché ci passano i volantini dei supermercati nella buca delle lettere. Noi, al pari delle signore casalinghe, anche se adesso le abbiamo superate in quanto a ingegno, prendiamo tutti i depliant di tutti i supermercati e sappiamo sempre cosa e dove comprare.
A volte le offerte diventano modi per collocare gli eventi nel tempo.
‘Ti ricordi quella sera in cui abbiamo cucinato la parmigiana perché svendevano le melanzane?’
‘Si, bella serata. Quella sera sono venuti Peppe e Silvia a cena. Ancora me ne parlano, di quella serata’.
‘È stata la stessa sera che siamo andati a Piazza Sant’Anna’.
‘Si, quella sera in cui hai conosciuto quel tipo’.
‘Che ridere’.
Così sono le offerte, foriere di buone cose. Utili, provvidenziali, essenziali.
Se non ci fossero le offerte, noi precari vivremmo ancora con i nostri genitori.
martedì 25 settembre 2012
È STATO IL FIGLIO
Stasera ho visto un film che mi ha sconvolta. Si chiama ʻÈ stato il figlioʼ ed è la storia di una famiglia del quartiere Zen di Palermo. Daniele Ciprì descrive un luogo che esiste realmente, un luogo dove la gente spara per regolare i conti, un luogo strano, dove vivono persone povere, talmente povere da diventare irreali. Strano che il film di Ciprì sia prodotto in un periodo del genere, un periodo in cui solo la classe borghese fa la rivoluzione, un periodo in cui i poveri stanno in silenzio e, apparentemente, non si accorgono di nulla. E non se ne accorgono perché per loro non è cambiato niente.
Da quando una Mercedes è diventata più importante di una vita umana? Da quando una moto è più importante di un legame di sangue? Il consumismo coatto, dagli anni Cinquanta in poi, ha cambiato la nostra fisionomia. Il padre con una Mercedes può comprarsi il rispetto dei residenti della sua zona. Il ragazzo con una moto costosa e, oltre a comprarsi il rispetto di tutti, diventa crudele.
Si rimane spiazzati di fronte a questa 'pseudo tragedia greca', incapaci di credere come la fame conduca a fare certi gesti, un film toccante, senza dubbio, ma anche un poʼ fine a se stesso. Non serviva a rivalutare il quartiere Zen di Palermo, presentato in modo a dir poco squallido, anche se molto realistico, non serviva a dar voce alle classi meno abbienti. Serviva, forse, da monito.
Il progresso, il benessere apparente ci ha portati a dare più importanza agli oggetti di consumo che ai valori morali. Il prete che benedice la Mercedes e intasca la mazzetta subito dopo, lo zio Pino che ʻmpresta picciuliʼ a condizioni improbabili e la nonna che si rivela senza cuore, decidendo - seguendo la logica matriarcale della famiglia siciliana, con una razionalità invidiabile ma pietosa - di mandare in carcere un innocente, sono figure che servono a denunciare un grave problema sociale. Queste non sono figure nuove, esistono dai tempi in cui lʼuomo deve ʻfaticareʼ per vivere, sono personaggi di una città arcaica che ha bisogno di unʼalternativa plausibile.

Forse ci basta davvero poco per essere felici, per stare tranquilli. Forse noi, che abbiamo sbagliato i tempi dellʼevoluzione, ancora possiamo ricordare cosa cʼera prima e se ci piaceva di più. Gli oggetti come status symbol sono un concetto che non ci appartiene. La nostra più grande risorsa, oggi, dovrebbe essere quella di accontentarci di quei beni necessari che rendono necessaria la vita.
lunedì 24 settembre 2012
Quando Paolo Fox e Rob Brezsny ti salvano la vita...
http://www.balarm.it/articoli/quando-non-trovi-le-risposte--chiedi-a-paolo-fox.asp
http://www.balarm.it/articoli/quando-non-trovi-le-risposte--chiedi-a-paolo-fox.asp
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