sabato 11 gennaio 2025

Perché oggi Torino è la città più anarchica d'Italia?

 

L’ultima volta che ho sentito parlare di anarchici a Torino è stato qualche giorno fa, durante la protesta per la morte di Ramy Elgaml, il diciannovenne morto la notte dello scorso 24 novembre dopo lo speronamento da parte di un’auto dei Carabinieri. A dire il vero ne ho sentito parlare centinaia di volte da quando vivo in questa città, dallo sgombero dell’asilo occupato di via Alessandria al corteo per Alfredo Cospito, e ogni volta penso la stessa cosa: Torino è la città più anarchica d’Italia. Non mi interessa dare un’accezione negativa o positiva a questa affermazione ma scoprirne le ragioni, capire perché qui l’anarchia si trasformi quasi sempre in violenza e perché la rabbia sociale si manifesta in scontri pericolosi anche per i cittadini che protestano pacificamente.

Perché una violenza tale? Perché una rabbia così feroce? Ho provato ad interrogare alcuni amici di Torino sulla questione. Qualcuno era quasi compiaciuto nel prendere atto di questo primato, altri hanno esitato prima di dare una risposta ad una domanda che sembrava così semplice ma che nasconde ragioni sociologiche tutt’altro che ovvie.

Una delle spiegazioni è forse legata alla Fiat. Cosa succede se dal Sud emigrano intere famiglie per popolare una città fredda e austera come Torino? Succede che la popolazione subentrante viene ghettizzata e tenuta alla larga dai contesti centrali della città, esattamente come quello che è successo dopo in Italia con l’arrivo di migranti da tutto il mondo. Questa formula del ‘ti confino in un quartiere e da lì non ti muovere’ ha fatto sì che il tessuto sociale non solo fosse disgregato ma che nascessero delle comunità locali in cui il dialogo e il reciproco aiuto, l’assistenzialismo sociale fossero alla base di un ordinamento politico e che lo ‘stare insieme’ fosse l’unico premio al sacrificio di massa dovuto all’espatrio.

I luoghi vergini, dimenticati, confinati del ghetto hanno costituito delle roccaforti di umanità anche quando il Comune di Torino, con la gentrificazione di massa iniziata nel 2006 con le Olimpiadi invernali, ha cercato di riqualificare quei quartieri ‘operai’ o ‘multietnici’ per interessi economici diversi e per offrire un ‘decoro’ (parola estremamente abusata dall’amministrazione cittadina) zone che ai cittadini di altri quartieri facevano paura. Per evitare che i torinesi si spostassero (come stavano già facendo) nelle zone limitrofe a Torino, l’amministrazione decise di coniugare gli interessi economici e imprenditoriali di una fetta della città all’ansia sociale generatasi nel contatto con il diverso modus vivendi dell’altra parte di popolazione acquisita.

Se la paura crea diffidenza, accade che ci si isoli a livello sociale e ci si disinteressi completamente delle questioni politiche della città. Torino oggi è una città in cui il gap culturale, sociale ed economico è estremamente alto e lavorando negli uffici postali mi è capitato di incontrare clienti smisuratamente ricchi, con diverse case al mare e in montagna e un reddito molto alto e persone costrette a vivere per strada (laddove non disturbi il ‘decoro urbano’) a seguito della crisi che ha costretto piccole e medie aziende a chiudere i battenti. Ciò crea una spaccatura profonda nel tessuto sociale e accade che i ricchi non si fidano dei poveri e i poveri dei ricchi.

La solitudine sociale ha fatto in modo che i nuclei familiari si disgregassero e la libertà individuale è stata sostituita dalle regole. L’interruzione  della vendita di alcolici oltre le ore 24 e la vendita di bevande in bottiglia di vetro oltre le ore 23 hanno causato chiusure temporanee o definitive delle attività commerciali, il contenimento dei volumi della musica tra i 45 e i 50 decibel durante le ore serali e notturne al fine di non interferire con la quiete pubblica dei residenti, la difficoltà di creare eventi nelle piazze, soprattutto a seguito dell’evento del 3 giugno del 2017 che ha causato la morte di tre persone, la chiusura dei Murazzi, luogo di attrazione e socializzazione ineguagliabile.

A che servono le regole in una città? Perché il rispetto delle regole, anche le più assurde, è fondamentale in questo periodo per il funzionamento di un governo politico? Le regole sfruttano la paura e creano un meccanismo sociale che invita i cittadini alla sicurezza, alla tutela dall’ ‘altro’ anche quando l’ ‘altro’ non è una reale minaccia e preferiscono chiudersi in casa rinunciando alla loro libertà individuale piuttosto che aggregarsi e ragionare su una politica che tenga realmente conto delle loro esigenze reali.

Come diceva Umberto Eco, se non abbiamo un nemico dobbiamo costruircelo. Questo è quello che succede nella ‘guerra’ anarchica a Torino, una protesta che trova come primi capri espiatori coloro che fanno rispettare le regole e che rappresentano uno Stato che non conosce i contesti sociali reali e si erge a risolutore di questioni complesse tramite  manganelli.

Prevedo un aumento esponenziale dei casi di rivolta sociale in Italia. Arriverà forse un giorno in cui gli uomini si disinteresseranno totalmente agli uomini e non ne sentiranno la mancanza ma prima tutti i ghetti del paese cercheranno di reagire per difendere il diritto alla libertà e all’umanità. Per ora la parte gentrificata della città ha sostituito gli esseri umani con i cani (decisamente più fidati), ricevendo affetto dagli animali piuttosto che dalle persone. La ‘cultura del sospetto’ che allontana la popolazione delle città ci ha resi scettici nei confronti della stessa vita, laddove prima la vita era condivisione, aiuto, umanità.


Porta Palazzo, 2016


 

venerdì 3 gennaio 2025

Tempo

 Nella morbida ovatta della noia lavorativa,

mi si blocca nel petto

il peso di tutte le cose non fatte,

non portate a termine,

di tutto ciò che non mi sono concessa 

per mancanza di tempo e brio.

Quale tempo? E quale brio?

Il tempo della rincorsa 

di qualche successo?

Successo per chi poi?


Il tempo del dovere

grava come spada di Damocle,

dando un senso sbagliato

all'essere viva, all'avere due occhi,

due mani, un cuore.

Inscatolarsi in cubi di muri bianchi

arredati di armadi blindati,

alimentarsi di luci artificiali.

Dalla scuola saltelliamo da una gabbia all'altra,

dimentichiamo il valore dell'uomo,

la sua natura beatamente animalesca,

libera,

scomposta,

complessa.

Dimentichiamo che 

il tempo deve rimanere tempo

e l'uomo

deve rimanere uomo.



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