domenica 4 gennaio 2015

Vucciria

Siamo tutti gomito a gomito e ci sorreggiamo a vicenda. Gli ultimi arrivati chiudono il muro. Nessuno vuole chiudere il muro, vogliamo stare tutti al centro. Qui ci si sostiene a vicenda. 
La piazza accanto è quasi vuota, in piazza staremmo tutti più larghi, ma abbiamo scelto di stiparci in questa discesa: tanti gessetti in una scatola, in piedi per non cadere, ognuno indispensabile all’altro. Odiamo i posti dispersivi, abbiamo ricreato casa nostra qui per strada e vogliamo che l’ultimo chiuda la porta. 
Alla taverna gli ospiti sono fissi, alla taverna ci andiamo tutte le sere, la taverna è la nostra microcittà, qui abbiamo tutto quello che ci serve. 

- Da quanto non ti sentivi così?
- Così come?
- Così a casa.
Hai sorriso e ti sei guardato intorno. Mi hai chiesto di brindare al ‘vecchio’, perché è il ‘vecchio’ che ti piace, è il ‘vecchio’ casa tua, queste facciate devastate, queste pietre senza senso e queste macerie, la nostra fatiscenza la disprezzi ma è casa tua. Ti piace non avere troppe pretese, sapere che le palazzine crollano insieme a te, che c’è un luogo che non cambia mai, ti fa comodo che l’indolenza di quel luogo diventi la tua di indolenza, che ne hai persi di anni ma in questo posto sembra sia tutto fermo a undici anni fa, quando avevi ‘voglia di’. Queste cento teste ti fanno da scudo, ti salvano la vita, ti proteggono dal tempo, in primo luogo.
- La Vucciria è troppo bella. 
Siamo nel mezzo del rivugghio, sicuri di non sprecare il tempo della nostra vita, siamo qui per non perderci nemmeno un attimo, per ricaricarci con l’energia depositata sotto queste basole, siamo in un vero luogo di condivisione. Adesso sai come vanno le vite di tutti, adesso non dimentichi nessuno, non trascuri nessuno. Hai un’infinità di tempo da dedicare agli altri, un’infinità di tempo per conoscere gli altri.

- La Vucciria è la Vucciria, hai detto. Mille corpi in una minuscola via, tutti stretti anche se a un metro c’è un mare di spazio.

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