mercoledì 9 ottobre 2013

Caff'ari, 10 ritratti del Borgo Vecchio



Il primo giorno di lavoro arrivai troppo presto. Mi ritrovai ad aspettare l’apertura dell’ufficio sotto al balcone di un’anziana signora. 
Questa signora amava i gatti.
Quella mattina, come tutte le mattine, la vecchietta si affacciò sul balcone, aprì una scatola di cibo per gatti e, senza guardare chi ci fosse sotto, face cadere il suo contenuto sul marciapiede. 
Mi prese in pieno.

Sono successe tante cose in quei tre mesi. Ho avuto il tempo e la prontezza di trascrivere qualche perla regalatami dai personaggi che gravitavano attorno al magico CAF del Borgo Vecchio.

1. 
“Signorina, ora gliela dico io la verità. La verità è che Berlusconi li ha rispettati i patti! Ci aveva promesso mari e monti. A mari ci sému tutti e a Monti nu rietti”.


2. 
“Mi serve il CUD relativo all’anno 2011”.
“Se vabbè, io nnu rumilaeunnici era ‘n carciri”.



3.
“Lei ha una casa di proprietà, bene. E sua moglie?”
“Mia moglie? Un avi ammìa?”


4. “Signori’, avissi a fari u comu si chiama... u caf”.



5. “Salve c’è Maria?”
“No, la mia collega è in riunione di gabinetto”
“Ma che significa?”
“É al cesso, signo’”.

6. “Quando s’è sposata sua figlia?”
“Cosa?”
“Quando s’è sposata sua figlia?”
“Non sento”
“QUANNU S’ACCOPPIÒ SO FIGGHIA???”


7. “Buongiorno, avissi a fari u sett’e mienzu!”


8. “Signora, come sta?”
“Non c’è male”
“E suo marito dov’è?”
“Me maritu?  Stamatina s’assittò nno gabinettu e s’addummisciu”.

mercoledì 11 settembre 2013

"La schiuma dei giorni" di Boris Vian

Per immaginare nuovi mondi ci vuole una gran dose di stravaganza, inventiva e audacia. Ci vuole ironia, senso critico e un pizzico di distacco dalla realtà.


La schiuma dei giorni, romanzo scritto nel 1946 da Boris Vian – uno dei fondatori della corrente letteraria della Patafisica (ideata dallo scrittore francese Alfred Jarry) – è un romanzo che ricorda i migliori quadri del pittore Chagall.
Vian fu trombettista, chansonnier, ingegnere, autore teatrale, poeta, traduttore, giornalista drammaturgo e attore, fece della sua breve vita un esperimento artistico, adottando nel corso della sua attività registri stilistici diversi, dissonanti ed estremamente innovativi (si pensi al romanzo del 1946 J’irai cracher sur vos tombes, ovvero Sputerò sulla vostre tombe), passando da ambientazioni che ricordano le favole di Perrault e dei fratelli Grimm ad altre che fanno riferimento al genere letterario degli hard boiled statunitensi che ebbero enorme successo verso la fine degli anni Venti e i cui temi principali erano quelli del crimine, della violenza e del sesso.
Nel romanzo La schiuma dei giorni, Vian racconta la storia del giovane parigino Colin, appassionato di jazz e di cucina, inventore di strani strumenti come il pianocktail, un pianoforte in cui ad ogni nota corrisponde un alcolico.
Colin, ad una festa, si innamora della bella Chloé, una donna che ha il «profumo della foresta con un ruscello e tanti coniglietti». I due si sposano ma presto Chloé si ammala di una strana malattia al polmone destro: un’orchidea le cresce dentro al petto e l’unica cura possibile consiste nel circondarsi di fiori.
Attorno ai due personaggi principali ruotano le vite di Chick e Alise, anche loro innamorati. Chick è un ingegnere con l’ossessione per lo scrittore Jean-Sol Partre, e Alise è la nipote di Nicolas, chef personale di Colin.
La trama è volutamente semplice e quasi banale. Ciò che rende questo libro straordinario è il lessico, i neologismi, i giochi di parole, gli elementi surreali e la scoperta di una “scienza delle soluzioni immaginarie” di cui Vian fu uno dei promotori.
L’idea di una letteratura che non si prende troppo sul serio è il principio sul quale fa leva la poetica di questo romanzo. «La storia è interamente vera perché me la sono inventata da capo a piedi» dice l’autore nella premessa.

Leggere La schiuma dei giorni è un vero spasso. I personaggi, immersi in un’atmosfera magica e fiabesca e lontani da qualsiasi stereotipo, sono da considerarsi alla stregua degli ingredienti di una delle migliori ricette di cucina francese. Teneri e idealisti, vittime di un mondo cinico e senza senso, ondeggiano a ritmo di jazz e lottano per realizzare i loro sogni fatti di schiuma. Quello dei personaggi è un mondo alla rovescia, un mondo in cui i vetri che si rompono ricrescono da soli, in cui la cravatta fa i capricci per annodarsi, i topi sono parte integrante della famiglia ed è possibile dare pizzicotti ai raggi di sole se disturbano la vista. È un ambiente in cui gli oggetti sono animati quanto gli esseri umani, in cui si passeggia per strada immersi in una nuvola all’odore di zucchero di cannella, si balla lo sbircia-sbircia, in cui i paggi pulitori lucidano la pista di pattinaggio, i topi ricavano lecca lecca dalle saponette e la casa si restringe se l’umore peggiora.
Con l’avanzare della malattia di Chloé, il corridoio si rimpicciolisce e le stanze si fanno buie, lo chef Nicolas invecchia di sette anni in soli otto giorni e i topi sono costretti a raccogliere frammenti di luce dalla cucina per illuminare per un istante la stanza in cui riposa Chloé.
Quello in cui vivono i personaggi è un ambiente ora caldo ora freddo, con chiaroscuri e giochi di luce, in cui gli stati d’animo vestono arredi e linguaggio.
Colin è costretto a cercare un lavoro per comprare i fiori a Chloé. Solo i fiori possono mettere paura all’orchidea che abita il petto dell’amata e per questo motivo il giovane parigino, abituato a vivere nel lusso, si ritrova costretto a covare canne di fucile (che crescono nei campi solo grazie al calore del corpo umano) o a fare il messaggero delle cattive notizie in anticipo, per offrire una cura alla sua sposa.
Le brutte notizie fanno invecchiare nel mondo costruito da Vian, ed è così che a metà del romanzo la cruda legge della realtà annienta i sogni d’amore e la leggerezza dei protagonisti. Ma nonostante la tragicità avvolga l’epilogo, Vian ci suggerisce che la vita vale la pena di viverla a pieno, anche solo per due ragioni, le ragioni della sua vita: «l’amore, in tutte le sue forme [...] e la musica di New Orleans o di Duke Ellington. Il resto sarebbe meglio se sparisse perché il resto è brutto».
Lo scrittore francese soffriva di una malattia al cuore, una malattia lacerante che anziché condurlo verso l’autodistruzione lo spronò a vivere i suoi giorni con ingordigia e passione.

L’intero romanzo è da considerarsi come un inno alla vita in tutti i suoi aspetti. «Io vorrei essere innamorato», dice Colin guardandosi allo specchio. Si immerge tra le strade parigine, seguendo ogni donna che attira la sua attenzione, fluttuando in un vuoto in cui non c’è nulla da fare se non andare in giro ad osservare il mondo.
Nel romanzo c’è poco spazio per la psicologia dei personaggi, predominano l’estetica e il particolare, la sorpresa e l’impulsività. Vivere è l’unico mestiere che riesce bene al protagonista, è l’unico modo possibile per salvarsi dalla morale comune, quella che vede il lavoro come uno strumento che nobilita l’uomo. La fortuna e la salvezza di Colin sta nel fatto stesso di essere un nullafacente, un personaggio più immaginario che reale, una proiezione fantastica di ciò che tutti vorremmo essere, di un bambino con una coscienza piuttosto che un adulto razionale, che rimanda ad un desiderio e una pulsione che hanno sede nell’infanzia, nell’innocenza, laddove i giochi di parole e i mondi inventati sono all’ordine del giorno.
Non è un caso che La schiuma dei giorni di Boris Vian sia stato uno dei libri più letti dai contestatori del Sessantotto. L’idea di un mondo fantastico in cui si respira un’atmosfera benigna e ovattata, in cui il lavoro degrada l’uomo e l’unica cosa che conta è l’amore in tutte le sue forme, aveva affascinato non poco la generazione dei contestatori sessantottini che avevano fatto della liberazione dal lavoro uno dei motivi più sentiti di ribellione.
Il romanzo si nutre di una visione contro corrente, in cui l’insubordinazione nei confronti dell’autorità e la satira su alcuni aspetti della vita dell’uomo sono temi ricorrenti che creano la cornice della storia. La critica nei confronti della Chiesa e della religione si fa veemente e violenta, i preti sono interessati esclusivamente al denaro e chi non ne ha è costretto a vedere i propri cari dentro vecchie scatole nere lanciate dalla finestra perché «i morti si facevano scendere a braccia solo a partire da cinquecento dobloncioni».
Vian non risparmia nemmeno la critica alla cultura del suo tempo e, attraverso la figura di Jean-Sol Partre (vera ossessione dell’amico Chick) mette in evidenza l’assurdità dei diktat culturali. Si legge la parodia dell’«esistenzialismo a tutti i costi» e la convinzione che la letteratura non sia campo esclusivo delle scuole letterarie e delle accademie.
Quello di Vian è un anticonformismo che abbraccia tutti i campi della vita moderna, i suoi dogmi e le sue strutture, dissacrando gli aspetti del vivere comune (si pensi alla critica all’esercito) con un tono beffardo più che polemico.
Definito da Queneau il più straziante dei romanzi d’amore, La schiuma dei giorni è uno dei libri che anticipa la stagione dell’Oulipo (acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero officina di letteratura potenziale) e dà inizio ad un percorso in cui la letteratura vive una delle sue stagioni più metaletterarie. 
La possibilità di stravolgere mondi, abbandonare luoghi comuni e rivolgersi direttamente al lettore, di riordinare le parole in base ai suoni o ai colori che evocano nella mente del lettore, è una delle maggiori conquiste del ventesimo secolo. Le avanguardie artistiche e letterarie hanno dato inizio a una stagione in cui è più importante la percezione della cultura piuttosto che la cultura stessa e hanno decretato il primato dello stile rispetto al contenuto. È proprio questa concezione della cultura che si trova alla base della vita moderna. La “letteratura dei mondi possibili” ha creato nell’immaginario comune il tramite perfetto tra la concezione di letteratura del passato e quella presente.

Vian può permettersi di inventare un mondo anziché descriverlo, e questo è uno dei più bei regali che può fare ai suoi lettori.

Articolo pubblicato sul n. 10 della rivista Il Palindromo

sabato 6 luglio 2013

Broadcasting


C’è qualcosa di malsano nella somma dei messaggi cui siamo sottoposti quotidianamente. C’è l’origine delle nostre paranoie, delle nostre paure, della nostre ansie. Proverei a sperimentarne gli effetti e le conseguenze fantascientifiche.
Per ogni bombardamento subìto c’è, però, un antidoto che ci restituisce l’illusione di vivere sereni.


Una voce metallica ci bloccava sui corridoi plastificati e lucidi.


Proveniva dall’altoparlante dell’aeroporto. Era una donna. Non annunciava né voli né problemi tecnici.
Parlava come se ci conoscesse da tempo. Sembrava avesse studiato i nostri passi dalla nascita.
Sapeva tutto, e quello che sapeva era vergognosamente vero. Ma la cosa più incredibile era che quella voce stava pian pian svelando tutti i nostri segreti, prima in italiano, poi in inglese.
Stava dicendo alla signora del gate b6 di non sculettare in quel modo. Consigliava di stare bene attenta perché i tradimenti in casa sua non sarebbero potuti durare a lungo. Un attimo dopo si rivolgeva al marito, invitandolo a  prestare attenzione alla moglie.  
Poi aveva parlato di politica. Davanti al desk 223 c’era un politico famoso. Ci aveva invitati ad osservarlo bene, aveva sentenziato che quello era un uomo corrotto e falso e che qualunque persona con un po’ di buon senso non l’avrebbe votato. 
Con nomi e cognomi era difficile non crederle. Se quel politico avesse fatto finta di niente, nessuno si sarebbe accorto di lui ma si dimenava, si guardava intorno e aveva dato nell’occhio.

Eravamo tutti imbarazzati dentro l’aeroporto, col vento che sfogliava gli alberi e le piste di decollo immerse in un vortice d’aria che scombinava tutto, che sollevava polvere e pentimenti.

Poi, dall’altoparlante, si era sentita la sigla del telegiornale. Erano tutte notizie di cronaca nera: un incidente sul raccordo, in cui aveva perso la vita un’intera famiglia, una signora uccisa a colpi di cavatappi dal marito, un gatto crocifisso davanti la sede della protezione animali, un ragazzo picchiato e derubato in centro città e una bomba esplosa qualche ora prima davanti ad una scuola, proprio nel momento della ricreazione. Una strage.

La voce metallica della ragazza era intervenuta di nuovo. Parlava piano, aveva un tono rassicurante ma diceva cose orribili. 

Oggi non ci sono uomini della sicurezza all’interno dell’aeroporto. Sono tutti in sciopero. Se dovesse succedervi qualcosa la responsabilità sarà soltanto vostra. 

La gente cominciava ad insospettirsi, le madri stringevano al petto i figli e il panico stava prendendo piede. Non sapevo cosa fare né cosa pensare.
I telefoni erano isolati, non c’era campo in nessuna zona dell’aeroporto.

Da questo momento tutte le porte dell'aerostazione sono chiuse, nessuno può più uscire e né entrare. Vi preghiamo di affrettarvi e controllare sugli appositi tabelloni il numero del gate. 

Il brusio dell’inizio aveva lasciato il posto ad urla scomposte. Avevo visto persone che scappavano, le valigie lasciate in giro qua e là. Alcuni battevano pugni e calci per aprire le porte a vetri che però sembravano sigillate. 
 
Avevo provato a forzare le porte scorrevoli ma niente. Fuori non c’era anima viva. Avevano sicuramente bloccato l’ingresso all’aeroporto, messo pattuglie di vigili alla fine dell’autostrada per bloccare le auto. Mi ero guardato intorno, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.  

Dovevo andare a Parigi a trovare mio figlio. Avrei voluto chiamarlo. Il cellulare non dava campo. Allora avevo acceso il pc e avevo inserito la password per collegarmi dall’aeroporto. 
Niente.  Nessuna rete. 

Poi, di nuovo la voce:
Tutte le bevande somministrate all’interno dell’aeroporto contengono una sostanza che vi aiuterà a mantenere la calma, a rilassarvi ed eliminare gli attacchi di panico. 

Da non crederci.
Avevo con me la valeriana. La portavo sempre quando dovevo volare. Non mi piaceva la sensazione di ansia che mi procuravano il decollo e l’atterraggio. Avevo svuotato metà boccetta di compresse e le avevo ingoiate senza acqua.

C’era un signore che inveiva contro un’impiegata, urlava, voleva spiegazioni. Era una delle poche impiegate rimaste in giro. Tutti i desk ormai erano chiusi e i gate automatizzati. 

Nessuno dava indicazioni. 
Dagli schermi della videosorveglianza si potevano osservare scene di panico. Gente che urlava e piangeva, gente che correva tra scale mobili e uffici di polizia. 
Nessuno poteva rassicurarci.

Una ragazza con gli occhi neri e i capelli lucidi di sporco, si era avvicinata ad un distributore automatico. Non sembrava spaventata. Era sola e aveva un bagaglio a mano con una targhetta ben in evidenza dove si poteva leggere il suo nome. Eveline, si chiamava. Si guardava intorno, sembrava cercasse qualcuno. Si era rivolta ad un signore barbuto seduto dietro di lei. Lui teneva le mani sul capo, sembrava disperato. Chissà cosa si erano detti. 
La ragazza aveva inserito delle monete e dal distributore automatico era venuta fuori una bottiglietta d’acqua.
Bevuto il primo sorso, un sorriso sereno si era imposto sul suo viso. Il signore barbuto le aveva chiesto qualcosa e un attimo dopo l’aveva seguita a ruota, aveva preso anche lui l’acqua e  si era diretto verso un gruppo di ragazzi, probabilmente una squadra di calcio in partenza. Aveva parlato con loro, che si erano diretti tutti al distributore.

Dopo una trentina di minuti, l’ordine sembrava essersi ricomposto. La folla impazzita aveva trovato la sua geometria nello spazio, tutti schierati in fila alle macchinette automatiche, a bere qualcosa. Qualcosa che faceva bene, che rilassava la mente. 

Sembrava avessi sognato tutto. Ma io ero uno dei pochi rimasti lucidi. Erano tutti drogati, ormai. E calmi, rilassati, sorridenti. 

sabato 1 giugno 2013

Dove trovare i fondi per il Comune di Palermo

A Firenze mi hanno multata perché sono passata col rosso. Giuro che il semaforo non l’avevo visto. Era coperto da un albero. 
Non voglio giustificarmi, so che ho sbagliato.
In fondo però Renzi e la sua amministrazione fanno bene. Gli automobilisti, fiorentini e non, sono accorti e rispettano le regole. E magari rispettare le regole diventa sempre più difficile, come in un gioco a livelli, perché i semafori sono coperti dagli alberi. 
Questo banale episodio mi ha fatto pensare a Palermo. L’amministrazione comunale ha un grosso vantaggio rispetto a quelle del resto d’Italia. Qui la nostra inciviltà garantisce un introito sicuro. Il comune potrebbe arricchirsi, potrebbe amministrare la città anche solo grazie alle multe. 
Forse multare chi non rispetta il codice della strada servirebbe sia a rendere i palermitani più civili sia a trovare un po’ di denaro per amministrare la città.

Archivio blog