sabato 2 luglio 2022

'A RAGGIA

 Un'altra umanità fatta di programmi a lungo termine, invivibile organizzazione meccanica e facce congelate in un'espressione assente, bestie insensibili e robot con i cappotti. 

Quanto avrei voluto vivere bene la mia vita! Da qualsiasi altra parte anche il lavoro mi sarebbe piaciuto  un po' di più perché qualsiasi essere umano è più stimolante e vivo di voi!

Vi devo vivere, purtroppo. Quindi, sembra che io non possa offendervi. Ma se ho fatto a meno di tutti voi per dieci anni - concedendo a me stessa il beneficio del dubbio, nutrendo la speranza di essermi sbagliata - pensate che non sappia e non voglia fare a meno di voi per sempre?

Vi rimpinzate di perbenismo dall'alba al tramonto e vivete male. Mamme dei compagni di mio figlio invitate a casa, merenda con calzoni e pasticcini a 35 euro al chilo, che cazzo di storia è che il giorno dopo, all'entrata della scuola, non mi salutate nemmeno? Bestie siete! Non a caso una delle migliori facoltà di psicologia e psicoterapia si trova a Torino. Chiudete subito la porta quando vedete qualcuno sul pianerottolo, vi affezionate dopo anni ma sempre mantenendo una certa distanza e perfino il bengalese sotto casa, che vive qui da anni, mi chiede dieci euro e ventitré centesimi scatenando i miei attacchi d'ira. Sfoghiamola quest'ira quindi, che altrimenti poi ci ammaliamo di depressione per sempre. 

Chi viene dal sud e vive qui confonde la vita con la morte e io mi sento un leone in gabbia, soffro come un vulcano senza cratere. Non sono la sola a vivere questo disagio e questo mi conforta, ci sono anche persone 'grandi' che mi fanno compagnia in Posta. Grandi, meravigliose, belle e forti come la roccia. Si travestono da morti solo alcune volte, vivono di arte e pensieri positivi, alcune non si prendono mai troppo sul serio, escono dalla tana e scivolano per strada, non perdono mai la faccia e gorgogliano cazzate, leggerezze e piangono quando non esistono, proprio come me. 

Ci sono mostri e tenerezze nei miei sogni, un bambino di quattro anni che conosce tutte le bandiere del mondo e ha una passione per i supereroi perché sono migliori di noi umani. Un dolce ricordo di com'era la sua vita precedente lo avvolge ogni tanto ricordandogli che è un piccolo diamante, in difficoltà quando si parla di regole e schemi e non di risate scomposte, solidarietà, socialità, vita.

Direte voi, bestie: perché non te ne torni nella tua città invece di rompere i coglioni? 

Perché non posso, ovviamente. Altrimenti l'avrei già fatto. 

Sono lontani i periodi in cui pensavo che a Torino si vivesse bene, con il sorriso sulle labbra e la serenità nei volti. Lo dicevo solo perché avevo visto fiumi di studenti ubriachi correre lungo il Po da mezzanotte all'alba, avevo calpestato con le ruote sgonfie della mia Cinzia tutti i sampietrini della città senza indicazioni, non avevo impegni se non quello di cercare un impegno e mi fermavo a tutte le bancarelle a fare la commerciante con i commercianti, ad interrogare ogni cosa potesse essere visibile o potesse parlare. 

Mi è arrivato l'ennesimo messaggio di un collega di Poste, mai visto, che ha provato per anni a contattarmi perché era in graduatoria con me per ottenere il trasferimento per Palermo. 

'Voglio chiederti informazioni in merito al trasferimento, per favore rispondi'. 

All'ennesimo messaggio in cui mi scrive il numero di telefono, lo chiamo. Gli dico: 'Compa', la finisci di fare lo stalker? Mica sono il sindacato io, non ne son un cazzo del trasferimento'. Rido, lui ride. Mi dice che sono seconda e che ne prenderanno solo due. Lui in graduatoria è terzo. Gli dico che purtroppo devo rinunciare e lui scoppia a piangere. 

Sto in silenzio, la pausa è lunga e nel frattempo si spezza il cielo di Barcarello al tramonto, via Maqueda e gli indiani, la Palazzina cinese, la Graziella lato passeggero in piedi a sventolare sull'asfalto, Mondello con il suo profumo di alberi e mare, crolla Monte Pellegrino, Elio salumi e l'università di Palermo, insieme a Santa Rosalia e ai parcheggiatori abusivi, franano le ultime palazzine di piazza Garraffaello, si prosciugano i fusti di birra a piazza Sant'Anna, si seccano gli ultimi fili d'erba di piazza Magione, la nebbia della stigghiola si dirada di colpo e le Forst finiscono. 'Non sai quanto mi fai felice', io vivo in un paesino in provincia di Milano e ci sto provando da anni a scendere e adesso che tu rinunci, scusa lo so che sono egoista, mi stai rendendo felice'. 

Taliu a bbuatri chi ristati 'cca e un sapiti chi vi pirditi, quanta energia sprecata e quanta vita lassata. E siccome è una sula, a vita, si proprio a ristari 'cca allura tutta a raggia l'a sfuari picchì a raggia ri quarchi banna av'a niesciri.

(Guardo voi che restate qui e vi perdete, quanta energia sprecata e quanta vita lasciata. E siccome la vita è una sola, se proprio devo restare qui allora devo sfogare la mia rabbia, da qualche parte deve uscire).

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domenica 10 aprile 2022

La notte finisce qui

 Abbiamo dormito male, scalciando e tossendo, sussurrando frasi senza senso e bevendo sorsi d'acqua nel cuore della notte. Abbiamo lottato con gli incubi che riempiono il buio, con i sogni complicati che ricoprono il viso di smorfie.

Poi finalmente è arrivato il sole che ha illuminato il mondo macabro in cui avevamo abitato di notte e ci siamo ricordati che la vita vera è luminosa a volte e, sfiancati dalla battaglia combattuta dentro alle lenzuola, ci siamo guardati e abbiamo accennato un sorriso che esprimeva il nostro sollievo. Devo ammettere che è stato difficile come attraversare un campo fitto di fichi d'India, ci siamo ricoperti di spine ma il peggio adesso è passato.

Amore mio, il tuo cuore ha cento anni, il tuo sguardo è già quello di un uomo maturo a cui nulla sfugge, i tuoi silenzi e le tue parole dosate con la dolcezza di chi ha miliardi di giorni di esperienza, come se prima avessi abitato un'altra vita, un altro corpo, un'altra testa. Sei una meraviglia che stento a credere sia frutto del mio ventre.

A volte ci guardiamo senza motivo, tu ti preoccupi che io stia bene e io sento se il tuo respiro è libero e ti sistemo la maglia del pigiama dentro l'elastico del pantalone, ti tiro sù i calzini che scivolano per i calci che tutte le notti tiri con violenza. La notte emerge la tua rabbia, la tua voglia di protestare per questa assurda situazione in cui ti trovi senza averne colpa. Eppure nessuno ne ha, nessuno ha colpe. Quello che voglio è che tu sia sempre un dono per me, che i miei sacrifici non ledano mai la mia identità, il mio essere donna oltre che madre. Devi sapere che non ho rinunciato a me stessa perché non voglio che tu lo faccia mai per nessuno. Quando non sei felice, quando non sei sereno, quando senti che il tuo corpo e la tua mente non sono allineati con la vita che fai, guarda da un'altra parte, cerca tra le mille strade che il mondo ti offre, fruga tra i cespugli delle vie sterrate che imbocchi, vai al mare, esci, soprattutto esci dalla tua vita per reinventarne una nuova in cui ti senti appagato, in pace con te stesso. Ascoltati e fatti ascoltare perché la tua voce deve sempre essere la più potente tra tutte. 

La nostra famiglia è eterna, quello sì, non ce lo tocca nessuno. L'amore che ci lega anche quello è eterno, sebbene ognuno di noi con i suoi passi e con le sue corse disegni nella mappa della sua vita geografie diverse, svincolate dal perimetro di casa. Cambiamo direzione, sempre, per rimanere vivi e alimentare la nostra serenità, per alimentare il nostro cuore e la nostra mente. Forse così i nostri sogni saranno meno tormentati e digrigneremo meno i denti.




venerdì 25 febbraio 2022

Ho copiato le madri

Ho sentito dire che le madri devono sempre perdonare i figli.
La mia voce è strozzata perché mi ha detto che l’ho fatta male, ho fatto una figlia piena di macchie, con la pelle a chiazze come un dalmata. Floriana mi ripete che è colpa mia, ‘mamma la colpa è tua che mi hai fatto così’, dice. 
Ho ingoiato bocconi amari, ho fatto una figlia e nessuno la vuole ma non potevo saperlo. Ha sofferto come ho sofferto io, senza padre da quando era piccola e chissà che fine ha fatto quell’uomo che avevo conosciuto una notte e mi ha lasciato il più difficile dei compiti, vita da madre, perché la colpa non era solo mia ma di entrambi, entrambi padri, entrambi madri, entrambi colpevoli. E la notte sogno che mia figlia riempie il pavimento di feci e io sto male ma son immobilizzata, non riesco ad aiutarla. 

Prima mi arrabbiavo di più con me stessa e con gli altri, mi arrabbiavo di più con Floriana che mi diceva che ero io, ero io che l’avevo fatta così deforme e orribile e io le urlavo contro per spiegarle che non doveva prendersela con me, che io non c’entravo nulla. 
Poi un giorno ho visto cosa fanno le madri, ho visto che perdonavano sempre i figli, che stavano zitte, incassavano il colpo e piangevano in silenzio, non ribattevano, non si ribellavano. Abbracciavano, consolavano, piangevano in silenzio, accettavano tutto, eclissandosi e accettando una condizione di vittime incoscienti, annientando la propria essenza di donne, ingabbiate in un groviglio di emozioni non espresse, mantenendo un volto senza rughe, senza mai esplicitare, travestendosi da mummie, pronte a esplodere per qualsiasi cazzata ma non con loro, non con i figli. E mi sono perdonata, ho perdonato lei, suo padre e me. Il mio cuore è calcificato e le gambe non reggono il mio peso. Non le dico nulla, incasso. Lo farò fino alla morte, quando chissà chi se ne prenderà cura.






mercoledì 24 novembre 2021

Pedaggi

 Dobbiamo costruire sentieri sterrati tutti i giorni, scansare gli alberi e i cespugli, avanzare con le nostre borracce piene di alcool, mentre il coro delle  nostre suonerie ci distrae. Abbiamo le scarpe bagnate e paghiamo un pedaggio ogni cinquanta metri. Arranchiamo, ci fermiamo su un masso a piangere un po’ per poi abbracciarci e asciugarci le lacrime a vicenda, sempre avvinghiati tra una risata e una vampata di calore che ci rassicura sulla strada da percorrere. 

Dobbiamo andare senza arrivare, mentre gli animali ci passano accanto tendendoci le zampe, tentando di distrarci, di separarci. Dobbiamo cercare sempre di rimanere concentrati. Ogni tanto perdiamo le scarpe, ogni tanto crediamo alle parole del bosco, alle parole dei sogni passati. 

Ma non perdiamo mai la pazienza, la precarietà ci tiene in vita senza alcuna pretesa e siamo gelosi dei nostri corpi e delle nostre parole.

Dobbiamo pensare che la mia vita sia nelle tue mani e la tua nelle mie, che ci sono voluti anni di traslochi per trovarci, che mi proteggerai come fai con la tua vita, che avrai paura di perdermi sempre, di rompere tutti gli equilibri. Dobbiamo aver cura di avanzare piano, con la grazia di chi ha avuto cento vite e cento morti prima di noi.






giovedì 11 febbraio 2021

Prima d'ora

 Prima d’ora questo silenzio mi aveva addormentata, cullata nella penombra di un cielo grigio di nuvole monotone e ammassate. Ne era venuto fuori un groviglio di sogni belli e angoscianti, incubi e sogni d’amore, tonni braccati da persone, uccisi con un abbraccio, una stretta soffocante, uomini che picchiano donne, tori che spaccano il muro con le corna e l’angoscia di non poter entrare in casa, un uomo che mi corteggia e mi bacia dolcemente, la voglia di farmi bella per qualcuno che non ricordo. Incubi dolorosi e sogni d’amore. 

Prima d’ora ho letto e guardato serie tv, creato collane, cucinato piatti dolci e salati, dipinto con Dario, ascoltato stupide canzoncine portoghesi. 

Prima d’ora l’immobilità non mi ha minimamente scalfita, mi ha soddisfatta in modo normale, ha alimentato la mia ignavia, la mia pigrizia.

Prima d’ora non ho sentito niente, nessun dolore nonostante la sfilata di carri funebri, volti invisibili coperti da mascherine, mani rese insensibili da guanti, corpi igienizzati senza odore,  solo alcol che sterilizza ogni percezione olfattiva.




Ora invece sento una nausea terribile per la mia vita ferma, per l’assenza di carne e abbracci, una nebbia fitta confonde realtà e immaginazione, la luce rimane imprigionata in un tramonto perpetuo, l’amore è ingabbiato dalla paura, il fumo che esce dai comignoli si è fermato. 

Ho bisogno di svegliarmi. 







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